Esercente minacciato per non fargli aprire una bottega, tre imputati condannati

 
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Gela. Fecero pressioni per impedire che un esercente avviasse una bottega di frutta e verdura, nei pressi del centro storico. Per i pm della Dda di Caltanissetta, come spiegato nella sua requisitoria dal magistrato Nadia Caruso, le minacce furono veicolate facendo leva sulla vicinanza ai gruppi di mafia. La condanna è stata pronunciata per l’esercente Emanuele Cassarà, a sua volta titolare di un punto vendita di ortofrutta. Quattro anni e otto mesi di reclusione a fronte dei sei anni richiesti dall’accusa per il tentativo di estorsione con la contestazione mafiosa. Sulla base delle risultanze dell’inchiesta, fu proprio lui ad insistere affinché Saverio Scilio non avviasse la bottega. Ad agire materialmente, così hanno indicato gli inquirenti, furono Marco Ferrigno e Massimo Terlati, a loro volta condannati a tre anni e un mese di detenzione (hanno scelto il rito abbreviato) rispetto ai cinque anni e quattro mesi indicati dall’accusa. Per la Dda, ciò che è emerso nel corso del giudizio conferma quanto venne denunciato da Scilio. La difesa di Cassarà, sostenuta dal legale Flavio Sinatra, ha ricostruito dettagliatamente aspetti ritenuti decisivi per superare la tesi dell’accusa. Secondo il legale, infatti, quella bottega, praticamente mai avviata, non sarebbe stata affatto un ostacolo per l’attività di Cassarà, nei pressi della quale ci sono già diversi punti vendita. Gli inquirenti dell’antimafia nissena hanno posto attenzione anche sui possibili problemi che avrebbe potuto generare un altro esercente disposto ad applicare prezzi inferiori rispetto ad altri. Cassarà, per l’accusa, avrebbe fatto pervenire un’ambasciata piuttosto chiara a Scilio, per il tramite di Ferrigno e Terlati. La difesa ha insistito sulle contraddizioni emerse dalle dichiarazioni rese dallo stesso Scilio, a sua volta con precedenti penali e coinvolto in procedimenti anche per resistenza a pubblico ufficiale. Si rivolse al boss Bruno Di Giacomo per informarlo della situazione. Non è stata trascurata tutta l’attività precedente, con ulteriori botteghe che erano state aperte. Il legale di Ferrigno e Terlati, l’avvocato Cristina Alfieri, ha confermato che non ci furono minacce fatte pervenire a Scilio. Ha inoltre approfondito il ruolo dei due imputati, visti come ormai lontani dai gruppi di mafia e con familiari che hanno intrapreso la strada della collaborazione con la giustizia.

Scilio si è costituito parte civile, con i legali Gianni Tomasi e Antonella Paci che hanno sostenuto le conclusioni della Dda, indicando come evidenti gli elementi a conferma della responsabilità degli imputati. Per i legali, gli venne impedito di avviare la sua attività e ci furono intimidazioni. Alla parte civile è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno. Le motivazioni verranno depositate nel termine di novanta giorni.

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