Mutata arma, “condannare Gagliano, Vitale e Castiglia”: chiesta assoluzione per Barone

 
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Coinvolti vennero monitorati per diversi mesi anche in un improvvisato poligono per le armi

Gela. Tre condanne e un’assoluzione. Sono le conclusioni che questa mattina, davanti al collegio penale del tribunale, i pm della Dda di Caltanissetta, Claudia Pasciuti e Davide Spina, hanno avanzato nei confronti di quattro imputati, che furono coinvolti nell’inchiesta antimafia “Mutata arma”. E’ il secondo filone processuale legato all’indagine. Per i magistrati dell’antimafia, il gruppo Rinzivillo avrebbe avuto a disposizione armi e droga. Gli imputati si sarebbero messi a disposizione, di fatto sostenendo l’azione del clan. Lo scorso febbraio, i giudici della Corte di Cassazione si sono espressi sulle posizioni di altri coinvolti, escludendo l’aggravante mafiosa. Motivazioni che questa mattina uno dei difensori, l’avvocato Flavio Sinatra, ha prodotto. Dai banchi della Dda, è arrivata la richiesta di condanna a sedici anni e sei mesi di detenzione per Angelo Gagliano. Sedici anni, invece, per Rosario Vitale e Massimo Castiglia. L’unica richiesta di assoluzione è stata avanzata nei confronti di Luigi Barone. Il difensore, l’avvocato Giuseppe Cascino, esponendo le proprie conclusioni, ha chiesto che la pronuncia favorevole venga emessa con formula piena. Barone, infatti, non avrebbe avuto alcun ruolo né nella gestione delle attività per la droga né rispetto alle armi. Diverse, invece, sono le conclusioni alle quali la Dda è arrivata per gli altri tre imputati. Gagliano è considerato uno dei riferimenti per lo spaccio di droga e avrebbe avuto costanti contatti con gli altri imputati, finalizzati sempre ad organizzare l’affare delle sostanze stupefacenti. Le forniture, in base alle accuse, sarebbero state assicurate anche da grossisti di altre province. Un contatto nel ragusano, per gli investigatori, era Castiglia. Vitale, a sua volta, si sarebbe mosso nell’affare della droga, con il consenso di imputati, Davide Pardo e Davide Faraci, giudicati nell’altro filone processuale. Come è stato ricordato dai pm, invece, le armi passavano dai Vella (padre e due figli a loro volta sottoposti a giudizio per l’inchiesta).

A fornire particolari utili agli inquirenti fu il collaboratore di giustizia Roberto Di Stefano, già ai vertici del clan Rinzivillo, prima di scegliere di parlare con i magistrati. Lo stesso collaboratore spiegò di aver ricevuto almeno quattro pistole. Una sarebbe stata usata per pagare un credito di droga vantato dal clan catanese dei Laudani. Normalmente, le armi messe a punto dai Vella venivano provate in una sorta di poligono rudimentale, ricavato in contrada Castelluccio-Arancio. I poliziotti pedinarono le presunte figure di spicco del gruppo, riprendendo incontri e intercettando le conversazioni telefoniche. Nel corso delle prossime udienze, toccherà agli altri difensori concludere (gli avvocati Flavio Sinatra e Francesco Villardita).

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