Omicidio Bellomo, i presunti colpevoli ancora davanti ai giudici a Roma e Catania

 
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Gela. Si potrebbe decidere entro il prossimo novembre la sorte dei due presunti responsabili dell’omicidio del commerciante Luciano Bellomo, freddato in viale Enrico Mattei a Macchitella nel settembre di sette anni fa.

E’ stata fissata, infatti, per il prossimo 14 novembre l’udienza davanti ai giudici della Corte di cassazione dopo il ricorso presentato dai legali di fiducia di Domenico Giuseppe Cafà, assolto in primo grado e condannato, invece, a ventisei anni di reclusione dai giudici della corte d’assise d’appello di Caltanissetta. Il giovane è ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio.
Gli avvocati difensori hanno già preparato un cospicuo materiale da utilizzare davanti ai giudici romani per cercare di ottenere una decisione favorevole. Saranno, invece, i magistrati catanesi ad occuparsi del caso di Emanuele Curvà, il presunto conducente del motorino sul quale viaggiavano i due componenti del commando che prese di mira il commerciante. In questo caso, l’udienza è stata fissata per il prossimo 24 settembre.
Lo scorso marzo, i giudici di cassazione annullarono con rinvio il verdetto di condanna a diciassette anni e quattro mesi di detenzione pronunciato nei suoi confronti dai colleghi della corte d’assise d’appello di Caltanissetta.
Curvà, difeso dall’avvocato Maurizio Scicolone, venne comunque ritenuto la spalla di Cafà ma i giudici romani posero dubbi sulla possibile premeditazione. Così, accogliendo le indicazioni dell’avvocato Scicolone, rinviarono ai giudici della corte d’assise d’appello di Catania. In entrambi i casi, i familiari della vittima si sono costituiti parte civile.
Lo hanno fatto attraverso gli avvocati Salvo Macrì e Nicoletta Cauchi. I due legali, nei diversi gradi di giudizio susseguitisi per entrambi i procedimenti, hanno sempre sostenuto la colpevolezza di Domenico Giuseppe Cafà e Emanuele Curvà.
L’avvocato Macrì, nel caso del giovane Cafà, ha anche sottolineato l’importanza di alcune presunte ammissioni fatte dall’imputato, durante la detenzione, a Crocifisso Smorta, successivamente divenuto collaboratore di giustizia, e confermate da un altro collaboratore come Carmelo Billizzi.

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