Cosa nostra arrivava al nord, via al giudizio d’appello “Tetragona”: in primo grado condanne per settant’anni

 
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Gela. In primo grado arrivarono condanne per quasi settant’anni di detenzione. Arrivano le richieste dei difensori. Adesso, prende il via il giudizio d’appello scaturito dall’inchiesta antimafia “Tetragona”. Gli investigatori ritennero di aver individuato un gruppo capace di gestire gli interessi di cosa nostra non solo in città ma anche al nord, soprattutto in Liguria e Lombardia. Non sarebbe mancata neanche una vasta attività estorsiva. Diversi imprenditori avrebbero versato denaro ai clan. I difensori degli imputati hanno subito chiesto una parziale riapertura dell’istruttoria con l’obiettivo di depositare nuovi documenti e soprattutto verificare il contenuto di alcune intercettazioni utilizzate dagli inquirenti. Le difese, inoltre, hanno chiesto di risentire una delle vittime delle estorsioni, ovvero l’imprenditore Emanuele Mondello, costituto parte civile con l’avvocato Vittorio Giardino. Tra gli elementi presentati in appello, anche un’interrogazione parlamentare relativa alla gara d’appalto per l’ampliamento della discarica di Timpazzo. I responsabili di una delle aziende partecipanti alla gara avrebbero denunciato presunte anomalie a favore del gruppo Mondello. Ricostruzione, comunque, successivamente smentita proprio dagli imprenditori che si dissociarono dal contenuto di una missiva che descriveva i fatti. I giudici d’appello si sono riservati di decidere sulle richieste.

Le decisioni di primo grado. In primo grado arrivarono cinque assoluzioni pronunciate dal collegio penale del tribunale presieduto da Paolo Fiore. Per due collaboratori di giustizia, Rosario Trubia e Nunzio Licata, venne  pronunciato il “non doversi procedere” a seguito dell’estinzione dei reati contestati. L’assoluzione fu decisa per Pietro Caielli, Claudio Conti e Sebastiano Pelle. La pubblica accusa, invece, chiedeva un totale di quarantaquattro anni di reclusione. Erano accusati di aver preso parte ad un vasto giro di droga, sia sulla tratta che conduce nella provincia di Varese che su quella calabrese. Le condanne più pesanti, invece, furono pronunciate per Emanuele Monachella, Armando D’Arma, Salvatore Burgio e Aldo Pione. A Monachella, difeso dagli avvocati Giacomo Ventura e Danilo Tipo, venne riconosciuta l’appartenenza al clan di cosa nostra, attivo soprattutto a Genova, oltre alle presunte estorsioni ai danni dell’imprenditore edile Emanuele Mondello. Così, alla condanna a 3 anni e 6 mesi si aggiunse quella a 10 anni e 6 mesi.Per Armando D’Arma, il collegio pronunciò la condanna a 3 anni e 6 mesi e quella a 8 anni e 6 mesi. Stando ai magistrati della Dda avrebbe preso parte al giro d’estorsioni controllato dai clan locali. L’appartenenza a cosa nostra venne riconosciuta all’anziano geometra Salvatore Burgio.Il professionista, difeso dall’avvocato Antonio Gagliano, fu condannato a 9 anni di reclusione. Il legale di difesa aveva categoricamente smentito in aula che lo studio del geometra fosse diventato la “cabina di regia dei clan locali per la gestione delle estorsioni e degli appalti”. 9 anni sono stati inferti anche ad Aldo Pione, difeso dagli avvocati Danilo Tipo e Nicoletta Cauchi. I magistrati lo ritennero il collegamento strategico tra la provincia di Varese e il boss Gino Rinzivillo che faceva base a Roma.8 anni e 6 mesi di reclusione per l’ex ambulante Giuseppe Piscopo, accusato di aver sottoposto ad estorsione i titolari di due supermercati a Caposoprano e Scavone. Il suo legale di fiducia, l’avvocato Boris Pastolrello, invece, sottolineò come l’attività dell’imputato si limitasse solo allo spaccio di droga, autonomo da qualsiasi appartenenza a cosa nostra. 3 anni, ancora, per Nunzio Cascino; 2 anni e 6 mesi per il collaboratore di giustizia Fortunato Ferracane; 3 anni e 6 mesi, a testa, per Angelo Greco e Giuseppe Truculento; 1 anno e 6 mesi per l’altro collaboratore Orazio Marcello Sultano; 4 anni e 4 mesi di reclusione, infine, per Alessandro Farruggia, ritenuto coinvolto nella tentata estorsione ai danni del gruppo imprenditoriale gestito dai fratelli Brigadieci. Pronunce assolutorie arrivarono per gli stessi condannati ma rispetto ad altri capi d’imputazione. Nella maggior parte dei casi, venne riconosciuta la continuazione con precedenti sentenze di condanna.  Tra le parti civili costituite, il Comune, Confindustria provinciale, la federazione antiracket nazionale, l’associazione “Gaetano Giordano”, l’imprenditore Emanuele Mondello e i titolari dei supermercati presi di mira, ovvero Nunzio Di Pietro e Cristoforo Infurna. Adesso, si ritornerà in aula il prossimo 16 febbraio.

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