Difese Ferrara e Zuppardo respingono accuse: “L’avvocato non fece da tramite per Rinzivillo”

 
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Gela. Non è mai stato “un ufficiale di collegamento” per il boss Salvatore Rinzivillo. Sono state assai articolate le conclusioni esposte dalla difesa dell’avvocato Grazio Ferrara, accusato di aver spalleggiato Rinzivillo, entrando organicamente nel gruppo di Cosa nostra. Per ore, la difesa, sostenuta dal legale Giacomo Ventura, ha analizzato punto per punto le contestazioni che i pm della Dda di Caltanissetta muovono al professionista, coinvolto nel blitz “Exitus”. I pm hanno già indicato la richiesta di condanna ad otto anni di reclusione. Per il legale che assiste Ferrara, al di là di eventuali condotte o espressioni “moralmente” censurabili, dall’istruttoria dibattimentale non sarebbero emerse prove di un coinvolgimento diretto del professionista nelle dinamiche del clan. “Ci fu un solo incontro in carcere con Rinzivillo, che era stato arrestato per l’indagine “Extra fines” ed era difeso da Ferrara”, ha detto. E’ stato ricordato che alla seconda richiesta di una visita in carcere, fatta pervenire da Rinzivillo, Ferrara non diede seguito. Il legale è certo che non ci furono mai rapporti strutturati, al punto da consentire all’avvocato di porsi come una sorta di collegamento tra il boss detenuto e gli affiliati in libertà. Ferrara, è stato ribadito, si sarebbe mosso solo sulla base della propria attività professionale, avendo avuto mandato difensivo proprio da Rinzivillo. “L’avvocato Ferrara difese sia esponenti di Cosa nostra sia della stidda – ha continuato il difensore – ma lo fece proprio per il suo ruolo professionale”. Già questi elementi, stando alla difesa, farebbero venire meno qualsiasi ipotesi di un’appartenenza di Ferrara al clan e di un rapporto con Rinzivillo che potesse travalicare i limiti professionali. Nel corso dell’intervento, la difesa ha messo in dubbio la ricostruzione dell’accusa, anche rispetto ad incontri che si tennero in altre province dell’isola, con soggetti gravati da precedenti criminali. Non ci sarebbe mai stata una volontà dell’imputato di agire nell’interesse del clan e del boss Rinzivillo. Allo stesso modo, la linea di difesa esclude che ci sia mai stata un’attività di Ferrara volta alla vendita di immobili con l’obiettivo di riciclare fondi di provenienza illecita. Nel corso del lungo intervento, la difesa ha ricordato le presunte minacce ad un esercente licatese, inizialmente coinvolto nell’indagine e la cui posizione venne archiviata. Anche in questo caso, i contatti sarebbero stati finalizzati ad altro.

Contestazioni respinte anche dalla difesa dell’altro imputato, Emanuele Zuppardo. Nei suoi confronti la richiesta di condanna è a dodici anni di detenzione. L’inchiesta indicò un suo presunto legame con Rinzivillo, al punto da presenziare a quello che viene indicato come un summit di mafia, tenutosi in un bar della zona di via Tevere. Secondo gli inquirenti, Zuppardo era a disposizione del boss. L’avvocato Roberto Afeltra ha fornito una versione del tutto differente, negando il coinvolgimento di Zuppardo, che per precedenti del passato già all’epoca dei fatti era sottoposto a misure restrittive da rispettare. La decisione del collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Fabrizio Giannola), verrà pronunciata a conclusione della prossima udienza.

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