I fratelli Musto capi del clan: armi dai gelesi, coinvolti anche un poliziotto e un carabiniere

 
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Gela. Sono in totale ventinove gli indagati nel contesto del blitz “Mondo Opposto”, condotto dai carabinieri del comando provinciale di Caltanissetta coordinati dalla Dda nissena. Per gli inquirenti, a Niscemi la nuova cupola era comandata dai fratelli Alberto Musto e Sergio Musto. Il trentacinquenne Alberto Musto nel recente passato era già stato coinvolto nel blitz “Fenice”, considerato nuova leva di Cosa Nostra sotto l’ala protettiva del boss Giancarlo Giugno (non coinvolto in quest’ultima operazione). Insieme ai due fratelli misure sono state eseguite per Andrea Abaco, Francesco Amato, Giuseppe Auteri, Francesco Cantaro, Francesco Cona, Davide Cusa, Renè Salvatore Di Stefano, Alessandro Fausciana, Gaetano Fausciana, Salvatore Fausciana, Gianni Ferranti, Giovanni Ferranti, Giuseppe Manduca, Francesco Piazza, Antonino Pittalà, Salvatore Signorino Pittalà, Paolo Rizzo, Francesco Alessio Torre e Carlo Zanti. Sono coinvolti inoltre i gelesi Carmelo Raniolo, Vincenzo Cannizzaro, Luigi Cannizzaro ed Emanuele Burgio. Il blitz ha toccato anche il poliziotto in pensione Salvatore Giugno, attualmente ai domicialiari e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. E’ stato invece sospeso dal servizio per un anno il carabiniere Giuseppe Carbone. Di fatto, da quello che emerge dalle indagini, i Musto avrebbero costituito un nucleo di Cosa Nostra soprattutto attraverso il supporto di  Andrea Abaco, Francesco Amato,  Francesco Cantaro, Francesco Cona, Giovanni Ferranti, Giuseppe Manduca, Francesco Alessio Torre e Carlo Zanti. Minacce, intimidazioni, armi e danneggiamenti, avrebbero costituito il modus operandi imposto sul territorio di Niscemi ma anche su quelli limitrofi. Il gruppo pare abbia avuto il sostegno sul piano delle informazioni da parte proprio di Giugno e Carbone, appartententi alle forze dell’ordine. I summit di mafia spesso si tenevano nel bar di proprietà di Francesco Cantaro. I carabinieri hanno seguito per diverso tempo tutti gli indagati, monitorandoli con intercettazioni telefoniche e ambientali, non sono mancate le immagini video degli incontri. Del gruppo inoltre c’era chi si serviva per tutelare i propri interessi personali come nel caso di un incendio che sarebbe stato commissionato da Paolo Rizzo o ancora nel caso di una bottiglia con liquido infiammabile fatta ritrovare davanti ad un’attività commerciale di Niscemi, sembra su commissione del titolare di un esercizio concorrente. Secondo gli investigatori, erano tante le armi a disposizione dei fratelli Musto e anche i gelesi avrebbero contribuito soprattutto sotto questo aspetto. Nei prossimi giorni partiranno gli interrogatori di garanzia. Sono venticinque le misure di custodia cautelare in carcere, tre ai domiciliari e una sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio svolto.

Tra le accuse contestate ai coinvolti l’associazione mafiosa, l’estorsione, il favoreggiamento, la violenza privata, la minaccia a pubblico ufficiale, l’illecita concorrenza con minaccia e violenza, l’incendio, il porto e la detenzione di armi e munizioni, la ricettazione e la violazione delle misure della sorveglianza speciale. Tra gli episodi ricostruiti nell’ambito dell’inchiesta vi è anche l’intimidazione ad un agente di polizia davanti alla cui abitazione fu fatta ritrovare la testa di un maiale. Pare inoltre che ci fosse un piano per uccidere un imprenditore niscemese, del gruppo Lionti, con attività anche a Gela.

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