Terzo Capitolo – Attentato in Vaticano

 
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Di pomeriggio, mentre  la dottoressa Alfieri usciva dal maestoso Palazzo di Giustizia, fu chiamata col nome di battesimo.

Si girò e vide il procuratore Gaymonat, sempre vestito impeccabilmente in giacca e cravatta, scendere veloce le scale verso di lei.

Entrambi erano rimasti a lavorare fino a ora tarda e Lorella non rifiutò l’invito di prendere un buon tè caldo al cafè de Paris, situato all’angolo della strada principale vicino l’edificio giudiziario, e a conversare confidenzialmente.

“Durante quest’estate mi sono trovato a vivere una situazione familiare disastrosa”, raccontò Dario all’attenta interlocutrice, dopo che i due si sedettero in un tavolo del bar ristorante, e davanti una buona tazza di tè avevano rotto il ghiaccio con argomenti di routine o di lavoro, parlando piano e con una certa cautela, considerata l’amicizia appena nata e la presenza di orecchi e occhi indiscreti, per la frequentazione assidua del bar da parte di molti colleghi, degli avvocati del foro di Roma  e del personale di turno delle cancellerie, i quali anche nelle ore pomeridiane consumavano nel locale i tramezzini e i caffè espressi.

Ti confido un segreto”, le disse: “mi sono appena separato da mia moglie e credo che presto formalizzerò la domanda giudiziale innanzi il Presidente del Tribunale; i miei figli oramai sono maturi, entrambi sposati e inseriti nel mondo imprenditoriale; non subiranno forti traumi nel vedere i loro genitori legalmente divisi.

La vita coniugale così non merita di continuare…”, aggiunse il procuratore con l’espressione seria e gli occhi lucidi abbassati sulle calde bevande, che da poco il cameriere aveva poggiato sul tavolo.

“Capisco il dramma che vivi”, le rispose candida la donna.

“Anch’io con Manlio ho vissuto l’inferno”, precisò lei con la voce amica e solidale.

“E poi, scusami, non abbatterti; tua moglie mi sembra una donna perniciosa e arrogante, anche se l’ho vista solo una volta, alcuni mesi fa, all’apertura dell’anno giudiziario…

Ricordo che al gala serale, offerto dal procuratore generale della Corte di Appello, sproloquiava ininterrottamente contro la sua sarta, accusandola che l’abito da lei indossato non fosse bene calibrato e che il successo dell’atelier Della Monica era da attribuirsi solo alle gentilezze di uomini facoltosi.

E’ stato solo un flash, ma anche i colleghi si sono accorti di quanto tua moglie fosse una snob nelle battute e nei movimenti da ricca signora emancipata, che però rivelava le sue origini piccolo borghesi…”

Dario colse la solidarietà della collega e ruppe gli indugi; decise di confidarsi totalmente.

“E’ una donna in continuo declino; sono anni che oramai non le riesce di sconfiggere la sua depressione reattiva.

Addirittura lei è dipendente dalle medicine e dai psico-farmaci.

Fortunatamente, la depressione e l’uso terapeutico dei farmaci non hanno raggiunto i livelli patologici; però tu cerca di capirmi, la mia serenità coniugale e quella familiare sono irrimediabilmente minati e compromessi.

E, per Dio, debbo dirtelo, la nostra vita sessuale è assente…”

Capisco, disse Lorella con un cenno comprensivo, solidale, quasi commosso.

“Ma tu stalle vicino; forse tua moglie ha bisogno di amore e  affetto”, disse la collega, cogliendo degli spunti di solidarietà femminile nelle crepe della signora.

Il procuratore non ebbe l’aspetto compassionevole, alla ricerca di  emozioni da suscitare nella donna che lo ascoltò attentamente; in fondo se lui era sposato, anche Lorella aveva un compagno,  e sparlare della moglie di certo non lo mise in buona luce agli occhi dell’amica che, per la prima volta, vide delle debolezze nell’uomo nel quale nutriva un’enorme fiducia professionale.

Dario iniziò ad apparire vulnerabile, però lei sapeva di quanta solidarietà lui avesse bisogno in quella fase della sua vita così delicata.

Probabilmente la moglie non era solo una pettegola, ma anche il partner che tra le mura domestiche svolgeva sottilmente il ruolo del carnefice, e il marito era la sua vittima; così lei obiettò.

A quest’ultimo dispiacque riconoscerlo.

Dario, in quell’aria di perfetto gentleman, contrito per i suoi problemi familiari, apparì sincero, non il confidente che raccontava le bugie.

Seduti al tavolo, le sembrò insolito che il collega, animato da una forte personalità e carattere, si fosse lasciato andare in confessioni così intime, ma egli era appunto un uomo, con le sue debolezze,  le sue titubanze più profonde e le inconsce incertezze;  e poiché aveva bisogno di conforto, si era lasciato andare nel confidare le sue verità nascoste.

Alessandra Costanzo, le raccontò, in passato era stata ricovera in una clinica privata diverse volte, ma la cura non aveva prodotto alla moglie gli effetti terapeutici sperati, nonostante le sue ossessioni non fossero speculari agli atteggiamenti di un marito dal cinismo spietato, come lo era stato Manlio.

“E’ malata; e i disturbi della personalità nuocciono alle persone che le stanno accanto”.

Dario, se avesse continuato a vivere con la moglie avrebbe sofferto, e anche il suo lavoro subiva dei contraccolpi: l’eventuale separazione legale apparve giustificata anche agli occhi della donna.  

Lorella iniziò dunque a valutare la vita intima del collega, e ne individuò le obiezioni, le crepe, la sofferenza.

Come ogni donna, pensò dell’uomo che le aveva confidato le sue emozioni più intime che avesse bisogno di consigli; pertanto invitò l’amico a non desistere dal consultare altri medici specialisti, bravi e preparati.

Poi avrebbe fatto le sue scelte.

“Le ho consigliato di andare in campagna da sua madre, per un periodo di riposo”, riprese a raccontare il Procuratore.

“Mia suocera è anziana, una vecchietta indipendente e forte di carattere, ricchissima di denari e di esperienza di vita, che incarna le virtù delle donne montane abruzzesi.

Una chiacchierona, ma gran signora, indipendente dal vecchissimo e arzillo marito che, invece, imperterrito vive tra la capitale e la campagna, facendo ancora il costruttore di grandi zone commerciali e residenziali.

Stare vicino all’anziana madre le farebbe bene, ma lei si ostina ad abitare nella Capitale perché vuole starmi vicino…”

Dario le assicurò, in ogni caso, che si sarebbe rivolto a un ottimo medico fiorentino, specialista in psicoterapia.

Di questi ne ricordava vagamente il nome, però se avesse consultato degli appunti in ufficio, avrebbe trovato l’indirizzo dello studio professionale di Firenze.

Il Professore Alberto Del Giudice, su incarico della procura romana, aveva fatto una perizia psichiatrica sulle capacità di intendere e di volere di un imputato ciociaro e aveva dato prova della sua elevata capacità professionale.

Il conferimento dell’incarico risaliva a un anno addietro, e Dario era rimasto stupefatto da quel medico che inculcò fiducia nel paziente e riuscì non solo ad analizzarne la personalità, ma anche a prescrivere  la terapia che si rivelò efficace e curativa.

Ricordò che il conferimento dell’incarico al professore fu una panacea per l’imputato, che soffriva di gravissimi disturbi della personalità e nel corso di una crisi depressiva aveva tentato anche di uccidere un familiare.

Due mesi di prescrizioni e cure risolsero definitivamente le patologie dell’imputato, di cui Dario non menzionò il nome, e soprattutto diedero la serenità alla moglie e ai figli.

Il caso clinico di sua moglie era più lieve e semplice.

Valeva la pena rivolgersi allo studio medico del professore fiorentino per una diagnosi e la cura.

Anche in questo caso Dario confidò che il professore sarebbe riuscito, lì dove i medici di famiglia  e lui stesso avevano fallito. 

“Gli telefonerò, fisserò un appuntamento presso il suo studio.

In ogni caso, grazie per il consiglio”, disse il giudice requirente con la voce mite.

Si era fatto tardi, e Lorella tornò a casa, accompagnata dal collega, il quale, all’uscita dal bar e fino a via Condotti, riprese il sorriso e fu cordiale e ironico, rivelandosi un buon cavaliere servente,  felice dell’incontro con la giovane donna.

Si salutarono e Dario andò via, con un passo lento, ripercorrendo la strada.

Lorella, entrata nella casa che l’ospitava, nel suo attico, si rilassò; poi, in camera da letto, si svestì con morbidi movimenti, e nuda si portò nella stanza da bagno, facendo una lunga doccia che le diede la freschezza e il vigore di sempre.

Indossò una sottile veste da notte e sdraiandosi prese un libro di narrativa, iniziando a leggere un romanzo dove protagonista era una giovane fanciulla francese in carriera, alla ricerca dell’amore perduto.

Immersa in quella lettura, si ricordò di Fabrizio e stranamente provò un’emozione fredda, addirittura glaciale, indolore a pensare che durante il giorno non si erano visti e nemmeno sentiti.

Non le era capitato mai di non ascoltare  per l’intera giornata la sua voce al telefono, e nemmeno si chiese perché a quell’ora – erano le venti di sera – il giovane compagno non fosse ancora ritornato a casa.

Probabilmente, aveva avuto anche lui una giornata intensa di impegni e di pomeriggio si era trattenuto a studio con dei clienti, fino a tarda sera.

Pensò che era un mercoledì feriale, giorno di ricevimento per l’avvocato Berti, e non era la prima volta che il difensore si fermava a studio per la preparazione di un’arringa difensiva o della discussione camerale del giorno successivo.

Squillò il telefonino.

La chiamava il giovane compagno che si scusò con la donna perché avrebbe fatto tardi; era in riunione nell’ufficio del governo, nello studio presidenziale di palazzo Grazioli e i lavori preparatori della commissione erano appena cominciati.

Le sussurrò che lei era il suo tesoro, che durante la giornata gli  era molto mancata, scusandosi di non essersi fatto sentire; disse anche di essere stato impossibilitato a svicolarsi dagli appuntamenti e dagli incontri.

La donna rispose di non preoccuparsi, di pensare a non saltare la cena, magari da consumare a un’ora più tarda e gli augurò un buon ritorno a casa; lei lo avrebbe aspettato, leggendo il libro oppure lo avrebbe accolto nei suoi sogni perché desiderava riposare.

Lo salutò, mandandogli un bacio, e chiuse il telefono.

Verso le due del mattino, però, era ancora intenta a leggere, coinvolta sulle vicissitudini della protagonista del romanzo, noncurante delle ore e dei minuti che erano scivolati e fuggiti velocemente; sentì infine Fabrizio rientrare a casa, ma era troppo stanca e assonnata per salutarlo come di consueto, saltandogli addosso e circondarlo di teneri baci e abbracci, oppure per parlare di piccole cose, anche se avesse voluto farlo.

Pensò solo di dirgli “ciao amore” non appena lui si portò in camera da letto a salutarla, e dopo si addormentò accompagnata dal rumore dell’acqua che veniva dalla stanza del bagno, dove il giovane si  condusse per fare una lunga e rinfrancante doccia.

Fu giorno.

Lorella si alzò, sazia dei suoi sogni, e dopo essersi vestita e curata elegantemente, si portò in cucina; lì vide Fabrizio che leggeva il giornale “Il Messaggero”, nel quale la cronaca giudiziaria e politica della capitale era ben curata.

Il giovane aveva dormito appena cinque ore ed era già sveglio, vestito in giacca e cravatta, e poco prima era uscito da casa a comprare il giornale, per leggerlo in cucina, accompagnato da un caldo caffè espresso e da un cornetto alla crema di limoni.

“Lorella, la colazione è pronta.

Avrai pensato che sono il solito egoista, ma ho preparato il caffè anche per te,  ed è ancora caldo.

Dal bar dell’angolo di piazza di Spagna ho preso anche le brioche e i cornetti al cioccolato appena sfornati, che ti piacciono tanto”.

La donna rise, strizzando stretti i suoi occhi dolci e sorridenti, colorati quella mattina di un blu intenso, profondi quanto l’oceano; si portò vicino al tavolo e presso la sedia dove il suo uomo era seduto, dandogli un bacio, augurandogli il “buon giorno”.

“Vorrei sapere perché ieri notte sei tornato così tardi a casa; ti darai alle ore piccole come abitudine, oppure hai delle nuove da comunicarmi”, le disse la ragazza, dispensando sorrisi, moine e inviti all’intrigante compagno che rubava le sue attenzioni.

“Immagino che ieri sera la commissione si è insediata e hai da riferire.

Dai, raccontami. Sono tutta orecchie; curiosa di sentirti.

Spero che tu abbia sciolto le tue riserve”, continuò Lorella con ironia e una leggera presa in giro nei confronti di Fabrizio, animata però dalla voglia irrefrenabile di giocare, di girargli attorno, stuzzicandolo con piacevoli domande.

“Lo sai che con te non ho segreti”, rispose il giovane, uscendo dal vago, precisando che nella commissione di sicurezza nazionale gli erano stati affidati dei compiti come esperto giuridico e tecnico che lo gratificavano, preoccupandosi per la prima volta degli enormi e gravosi oneri che già lo assediavano.

“Hai letto i giornali?

Ogni giorno, di ora in ora, la nazione è minacciata dai terroristi islamici che si camuffano dietro i siti internet per lanciare i messaggi bellicosi e gli ultimatum.

La commissione si è insediata per un’indagine sui sistemi di prevenzione di attacco alla sicurezza nazionale e per redigere una relazione al presidente sulle attività dei servizi segreti e della difesa”, osservò Fabrizio, con l’aria decisa e la voce composta.

Improvvisamente il suo viso lasciò l’atteggiamento brillante ma serio, e si fece cupo.

“Lorella”, disse il giovane rivolgendo lo sguardo alla donna e richiamandone l’attenzione, “mi è bastato partecipare a una riunione fiume per capire che la nazione è impreparata nel prevenire  eventuali attacchi kamikaze o attentati terroristici.

I nostri servizi di intelligence sono degli organismi che assomigliano più a dei colabrodo e mancano di un minimo di attività di coordinamento con le forze di polizia.

Poi, le prefetture non sono dotate delle unità di crisi contro gli attacchi batteriologici e nemmeno si pongono il problema di come affrontare le emergenze e le catastrofi.

Ieri il ministro dell’interno era fuori di sé, minacciava rappresaglie politiche contro i responsabili dei servizi di sicurezza nazionale e i prefetti che non hanno predisposto alcun piano di prevenzione e di repressione.

Lo capisci che non vi è alcuno scambio di informazioni tra le forze di polizia, e i servizi segreti non sanno quali siano i compiti svolti dagli organismi militari o dagli apparati civili?

E’ una Babilonia”, sentenziò Fabrizio.

“Mi è stato dato il compito di coordinare i lavori dell’indagine conoscitiva, con la delega agli atti classificati segretissimi dei ministeri dell’interno e degli affari esteri; entro uno, due mesi,  dovrò predisporre un dossier esaustivo da sottoporre alla commissione per l’espletamento della successiva attività conclusiva e propositiva”.

A Fabrizio, che riferiva come un fiume in piena, mancò quasi la voce e il giovane non riuscì a parlare con la consueta verve.

Si chiese se avesse fatto bene ad accettare l’incarico  di membro della commissione e soprattutto di essersi proposto come relatore.

L’attività lavorativa sarebbe stata stressante ed era consapevole – l’intuito glielo suggerì – che correva il rischio di farsi dei nemici tra gli uomini dei servizi e gli organi amministrativi e istituzionali preposti alla difesa dello stato.

“L’onorevole Gigi D’Alessio, Ministro dell’Interno, ha continuato a tuonare, battendo il pugno sul tavolo, dicendo a viva voce che se la sua testa fosse la prima a cadere in un eventuale rimpasto di governo, egli certamente porterebbe dietro di sé un bel poco di gente.

Occorre fare presto: chiudere i lavori in un ragionevole lasso di tempo; proporre al consiglio dei ministri la bozza di un disegno di legge, ancor prima di relazionare al parlamento i risultati dell’indagine, e infine avere la capacità di far votare allo stesso organo legislativo una legge che preveda una nuova figura istituzionale preposta al coordinamento di una task force, con compiti propositivi e esecutivi”.

L’affascinante compagna, a sentirlo parlare così, perse l’aria della ragazzina addosso al suo bel giovanotto e di colpo rimase sbigottita, confusa dai mille pensieri che le soffocavano i giudizi e le valutazioni, dandosi una soluzione da inquirente.

Era consapevole che il problema non fosse solo di natura politica e amministrativa, ma coinvolgeva anche la magistratura e le procure distrettuali di tutte le corti di appello, sicura che il potere requirente avesse gli strumenti e l’esperienza a fronteggiare il pericolo del terrorismo islamico in Italia.

Era altrettanto certa, poi, che gli organi di giustizia avrebbero avuto uno scontro con il potere esecutivo e, ancora una volta, quest’ultimo avrebbe voluto soggiogare il potere giudiziario.

“La magistratura giocherà il suo ruolo”, replicò decisa; poi rammentò le parole del procuratore capo, che considerava una frangia degli avvocati romani come la longa manus del presidente della locale camera penale, dunque, vicino al consiglio dei ministri, il quale, anche contro l’opinione personale del presidente, predicava la riforma dell’ordinamento giudiziario e la sottoposizione della magistratura all’esecutivo.

Pensò pure, in un futuro non tanto lontano, a uno scontro istituzionale con il Governo e, incosciamente, con Fabrizio.

Ma lei lo amava e anche il ragazzo ne era innamorato.

Non le restava che assecondarlo, chiedergli espressamente di usare tutta la sua influenza, quale relatore, di proporre nella sua attività d’indagine lo stretto coordinamento tra i servizi, le forze di polizia e la magistratura, nel quale una futura super procura nazionale avesse in materia di sicurezza dello Stato la competenza inquirente su tutto il territorio nazionale e la funzione di coordinamento delle sezioni di polizia giudiziaria nelle procure circondariali e distrettuali, nonché delle sezioni dei servizi di sicurezza civili e militari preposte alla repressione del terrorismo.

“E’ un’ipotesi non percorribile e tu ne sei consapevole”, obiettò il legale.

“Anche quanto da me appena detto, di istituire una nuova figura che possa riferire direttamente al presidente, con poteri esecutivi e di coordinamento, presenta dei problemi di opportunità costituzionale e di percorribilità pratica.

Il problema non è prepararsi ad affrontare il terrorismo islamico, è prevenirlo,  disinnescarlo. Prevenire è meglio di curare”,   osservò deciso Fabrizio.

Come puoi dirlo?  –  lei gli obiettò –  Dovresti sapere che alla base di un attentato terroristico vi è un’organizzazione capillare e un piano di azione.

Se siamo preparati a scardinare i contatti che le cellule terroristiche hanno sul territorio nazionale, non dando loro la possibilità di avere delle basi e organizzarsi operativamente, certamente avremmo svolto un’ottima attività preventiva.

Occorrono dunque uomini e mezzi diretti da un’unica centrale di intelligence; chi meglio di una super procura può svolgere tale funzione, avendo già la magistratura italiana una pregressa esperienza nella repressione delle organizzazioni mafiose sul territorio nazionale”, concluse trionfante Lorella.

“Forse ti sfuggono dei parametri di valutazione, mia dolce giudice”,  replicò forte Fabrizio, con l’usuale nomignolo che le aveva dato e con il quale spesso le si rivolgeva.

“E’ impensabile paragonare le cellule dei terroristi islamici alle organizzazioni mafiose.

Le prime nascono e si evolvono fuori dal territorio nazionale.

Sono dei virus che attaccano dei corpi infetti, malati, o che danno loro la giustificazione di esistere e anche di morire.

Se la società civile occidentale presta il fianco alla loro proliferazione, sii certa che attaccheranno le istituzioni politiche ed economiche del mondo occidentale e colpiranno anche i suoi simboli; quantomeno spargeranno il terrore.

Di contro, se alla cultura della morte e del fondamentalismo islamico, noi contrapponiamo i valori della vita, della tolleranza, della pacifica risoluzione delle controversie nazionali e internazionali, avremmo acquisito un sistema antivirale che nessuna super procura al mondo potrebbe sostituire!”

Lorella ascoltò gelida le parole del suo uomo, quasi senza riconoscerlo.

Riscontrava però in Fabrizio delle contraddizioni: non era stato lui a lamentarsi della mancanza di una figura istituzionale che coordinasse l’azione degli apparati dello Stato? Ora se ne usciva con delle valutazioni culturali rispettabilissime, però generiche.

Fabrizio, quella mattina, non le sembrò più il ragazzo dolce e passionale di un’incantevole Sicilia, che riusciva a farla sentire donna anche nelle pause più insignificanti della giornata, offrendole piccole cose o scherzando puerilmente sulle questioni apparentemente futili.

Ai suoi occhi iniziò ad apparire come un predicatore di sinistra; e tale oggettiva considerazione le sembrò antitetica al ruolo che gli era stato proposto di relatore della commissione esplorativa che avrebbe dovuto riferire al presidente del consiglio dei ministri, il quale si era presentato agli occhi dei suoi elettori come il “centro” della politica e degli ideali degli italiani, invece perseguiva una politica di destra, diretta a soggiogare la magistratura.

“Io mi auguro che tu riesca nel tuo intento, mio caro, facendo un’indagine approfondita della materia, e denunci apertamente le nefandezze e le falle del sistema, fino a proporre la figura togata del giudice a capo del coordinamento nazionale dei servizi di intelligence”.

“Non posso farlo; sono solo un membro della commissione, e non posso esprimere, quale referente di un organo collegiale, un parere non mio.

Posso però, tra le righe, aprire gli occhi a degli attenti lettori e agli osservatori…

Questo sarà il mio compito”, precisò l’uomo.

“E’ una teoria interessante”, commentò lei con l’aria scettica, quasi di sfottò, riprendendosi dall’iniziale incredulità, liberandosi dalle sue paure inconsce.

“Secondo me, sei un maestro di persuasione, caro Fabrizio; se sei riuscito a conquistarmi, saprai farti valere anche nei confronti dei membri della commissione”, concluse l’effervescente ragazza, con l’atteggiamento leggermente soddisfatto ma forte delle sue convinzioni, sicura di avere convinto l’avvocato Berti alle proprie idee; e uscendo dalla cucina, gli diede un forte bacio sulla guancia, per farsi perdonare l’intransigenza e la testardaggine, salutando il suo Fabrizio, il quale di lì a poco lasciò anche lui l’attico di piazza di Spagna per i suoi numerosi impegni quotidiani di lavoro, nelle aule di giustizia ed ora, nelle stanze dei bottoni.

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