La vendetta per la droga non pagata, due in appello: coinvolti nell’inchiesta “Affari di famiglia”

 
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Gela. E’ stato già fissato per fine maggio il giudizio d’appello successivo alle condanne di primo grado scattate dopo il blitz “Affari di famiglia”. L’indagine “Affari di famiglia”. Così, ritorneranno davanti ai giudici sia il cinquantunenne Salvatore Morello sia il ventitreenne Alessandro Di Fede. In primo grado, il collegio penale presieduto dal giudice Paolo Fiore li condannò, rispettivamente, a quattro anni e otto mesi e a due anni e otto mesi. In base alle indagini condotte dai magistrati della procura e dagli agenti di polizia del commissariato, avrebbero avuto un ruolo nel pestaggio di un giovanissimo, preso di mira dopo che un suo conoscente fece perdere le tracce senza pagare una partita di droga. A Di Fede, in ogni caso, i magistrati contestavano soprattutto la ricettazione di un motorino, rubato per vendetta e poi dato alle fiamme. Nell’inchiesta, finirono anche i due figli di Morello. Di recente, i giudici d’appello hanno ridotto la condanna inferta in primo grado a Giovanni Rinzivillo, arrestato nel blitz. Difeso dall’avvocato Maurizio Scicolone, i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta lo hanno condannato a due anni e otto mesi di reclusione a fronte degli iniziali tre anni e otto mesi. Per Morello e Di Fede, invece, i difensori di fiducia, gli avvocati Salvo Macrì e Carmelo Tuccio, avevano già sottolineato in primo grado il presunto ruolo marginale di entrambi nell’intera vicenda.

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