“Chiedemmo soldi ai Luca”, Billizzi: “C’era la voce di un piano per uccidere Giudice”

 
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Gela. “Le auto le prendevo da chi non era sotto indagine, anche per recarmi da Daniele Emmanuello, in quel periodo latitante. Prendevo l’auto di un dipendente dell’allora concessionaria Fiat. Quell’attività era sotto estorsione, pagava periodicamente. Le auto, senza pagare, le prendevo anche da Lucauto. Chiedevo di farmela usare anche ad Ardore, titolare di un bar. Nessuno però sapeva a cosa mi servivano”. Carmelo Massimo Billizzi, ex vertice del gruppo Emmanuello di Cosa nostra, è stato sentito in aula nel corso dell’istruttoria per i fatti dell’inchiesta “Camaleonte” che ha toccato il gruppo imprenditoriale Luca. Ormai da anni, collabora con la giustizia. “Prima dell’omicidio di Maurizio Morreale – ha riferito in videocollegamento – so che Rosario Trubia chiese soldi ai Luca ma loro dissero no e ci volle l’intervento di Emanuele Argenti. Ricordo di mezzi bruciati ma prima del 2003. Crocifisso Smorta gli chiese un prestito ma noi venimmo a saperlo dopo, dalle ordinanze. Lo faceva per un interesse personale ma si presentava per gli Emmanuello e chiese soldi anche ai Faraci, che ci davano delle regalie, e all’imprenditore Mondello, che invece pagava mensilmente. Smorta venne richiamato perché i Faraci e Mondello si sfogavano, lamentandosi. Ricordo che Vizzini chiese soldi a Franco Luca”. Billizzi ha risposto alle domande soprattutto dei difensori degli imputati. Sono a giudizio Salvatore Luca, Rocco Luca, Francesco Luca, Francesco Gallo, Concetta Lo Nigro, Emanuela Lo Nigro, Maria Assunta Luca, oltre ai due poliziotti Giovanni Giudice e Giovanni Arrogante (accusati di aver favorito gli imprenditori sono difesi dai legali Giacomo Ventura, Michele Ambra, Emilio Arrogante e Marina Giudice). “Un piano per uccidere Giudice dopo il blitz per arrestare Daniele Emmanuello? C’era la voce che i ragazzi si volevano organizzare ma io ero già detenuto a Viterbo – ha sottolineato il collaboratore rispondendo alle domande del legale del dirigente di polizia – mi ricordo che Giudice lo trovai in commissariato dopo il blitz nelle campagne di Mazzarino dove era in corso un summit di mafia. C’era e so che si è occupato anche di indagini che portarono al mio arresto, “Munda mundi” e “Tetragona”.

Il collaboratore, che fu in stretto contatto con il boss Daniele Emmanuello, ha anche fatto un quadro degli equilibri interni a Cosa nostra locale. “L’omicidio di Morreale segnò l’inizio della guerra tra Emmanuello e Rinzivillo – ha detto inoltre – almeno fino al 1999 avevamo avuto il predominio. Poi, ci arrestarono ma uscì Emanuele Trubia che iniziò ad alzare la testa e a parlare male di noi e così ci fu l’omicidio. Fino al 2002 ci furono due famiglie. Successivamente, trovammo l’accordo. Nacque un’unica famiglia con a capo Daniele Emmanuello”. I Luca e i loro legali, già in fase di indagine, hanno insistito sul fatto che le attività economiche erano finite nel mirino dei clan. Si sono detti vittime delle imposizioni che denunciarono. Nel giudizio, l’accusa è sostenuta dalla Dda di Caltanissetta. Davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Fabrizio Giannola e Serena Berenato), saranno sentiti altri testimoni. Sono stati acquisiti inoltre i verbali delle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia come Filippo Bilardi e Sergio Celona. Gli imputati sono rappresentati dai legali Carlo Taormina, Antonio Gagliano, Filippo Spina, Flavio Sinatra, Carmelo Peluso, Luigi Latino, Fabio Fargetta e Alessandro Diddi.

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