“Isolati da 31 giorni e con il tampone sbagliato”, l’odissea degli operai in attesa

 
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Gela. Malgrado le rassicurazioni che arrivano dall’Asp sono ancora tanti i cittadini gelesi che attendono di poter lasciare i loro posti di isolamento per tornare ad abbracciare le proprie famiglie. E quando si superano anche i trenta giorni l’esasperazione e lo sconforto prendono il sopravvento sul senso di responsabilità e correttezza.

Vi raccontiamo altri tre casi di lavoratori in quarantena da ben un mese. Giuseppe Scerra e Francesco Bucceri sono tornati dal Trentino il 15 marzo insieme ad altri tre colleghi. Si sono stabiliti a Manfria per trascorrere il periodo di isolamento. Dopo due settimane hanno iniziato a chiamare l’Asp per sottoporsi al tampone. Finalmente è arrivato il giorno desiderato. I tre colleghi prima di Pasqua lasciano la residenza di Manfria. Restano Giuseppe e Francesco. Per il primo è una odissea. Sottoposto a due tamponi. Il primo, il 3 aprile, è risultato illeggibile. Il secondo, il 10 aprile, è stato fatto in ospedale. Da allora nessuna risposta. Lo stesso per il collega, in attesa di comunicazione. “Non so più cosa fare – racconta – le ho provate tutte: mail, telefonate all’Asp, al sindaco, agli assessori, in ospedale, ed infine a voi. Non vedo i miei bambini e mia moglie da un mese. Mi sono sempre comportato con responsabilità. Non riesco più a sopportare questa attesa. Sono trenta giorni che aspetto. Siamo rimasti in due e lo trovo assurdo”.

Stesso copione anche per Salvatore M., che ha voluto raccontare la sua storia, seguita dal consigliere comunale Salvatore Scerra che ha chiesto lumi su questi ritardi. “Sono tornato il 16 marzo da Roma e mi sono autodenunciato sia alla Regione sia al medico di famiglia – dice – Fino ad oggi, non ho avuta nessuna comunicazione per fare il tampone faringeo. Una situazione che mi demoralizza tantissimo, se penso inoltre che amici, colleghi di lavoro e vicini di casa, che si sono messi in quarantena dieci giorni dopo di me, lo hanno già fatto e sono ritornati a casa dalle loro famiglie. Tutto questo non è corretto! Ho due figli minorenni e una moglie, ospitati da un mese da due anziani con varie problematiche, che hanno dovuto lasciare casa, portando dietro poche cose, visto che credevamo che saremmo tornati alla normalità familiare dopo quindici giorni o poco più”.

“Le mie condizioni di salute sono buone, ho sempre rispettato tutte le prescrizioni, ma psicologicamente inizio a risentirne. Mi sento abbandonato, lasciato solo dalle istituzioni e da tutti. Ho inviato molte mail all’Asp di Caltanissetta, ho chiamato vari numeri per avere riscontro, ho mandato messaggi anche al sindaco. L’unica certezza che ho ad oggi è che sono chiuso in casa da un mese, costretto a non vedere i miei figli. Le autorità dove sono? Che criterio stanno adottando? Correttezza zero! Mi sono stancato di aspettare. Vorranno forse costringermi a raggiungere comunque la mia famiglia o dovrò sopportare questa situazione difficile di isolamento dai propri cari ancora per molto? Alle istituzioni e a chi di dovere dico una cosa soltanto: non dimenticate chi con coscienza si è autodenunciato, non fateci credere che chi rispetta sé stesso e soprattutto gli altri debba pagare alla fine il prezzo più caro: l’abbandono!”.

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