La maxi indagine antimafia “Tagli pregiati”, in appello chiesta conferma condanne

 
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Gela. Le condanne di primo grado sono da confermare. La richiesta è stata formalizzata dalla procura generale nel giudizio di secondo grado scaturito dalla maxi indagine antimafia “Tagli pregiati”. Un’istruttoria fiume, durata anni, quella tenutasi in primo grado davanti al collegio penale del tribunale di Gela che adesso va alla prova d’appello. Il collegio gelese (presieduto dal giudice Lirio Conti a latere Marica Marino e Silvia Passanisi) nell’estate di due anni fa pronunciò dodici verdetti di condanna. Gli imputati sono accusati di aver avuto un ruolo negli affari della famiglia Rinzivillo, attiva anche nel nord Italia. Tredici anni e quattro mesi di reclusione al catanese Giorgio Cannizzaro, dodici anni e otto mesi ad Alfredo Santangelo, otto anni ciascuno per Mirko Valente e Salvatore Arria, sette anni e mezzo a Claudio e Vincenzo Alfieri, sette anni al magrebino Mhmdhi Jamil, sei anni a Francesco Angioni, Simone Di Simone, Rosario Saccomando e Francesco D’Amico, quattro anni al collaboratore di giustizia Angelo Bernascone. L’assoluzione è arrivata, invece, per Emanuele Terlati, Roberto Ansaldi, Benito Rinzivillo, Ileana Curti, Giovanna Guaiana, Maura Bartola, Matteo Romano, Patrizio D’Angiò e Salvatore Azzarelli. Verdetti che i difensori hanno impugnato e la Corte d’appello di Caltanissetta dovrà valutare i ricorsi. I legali delle parti civili hanno chiesto la conferma di tutte le condanne, anche in appello. L’ha fatto l’avvocato Giuseppe Panebianco per conto dell’antiracket “Gaetano Giordano” e della Fai. Parti civili sono inoltre il Comune di Gela, con l’avvocato Salvatore Caradonna, e la Fondazione antiusura padre Pino Puglisi con il legale Carmelo Picciotto.

Gli affari del gruppo Rinzivillo sarebbero stati gestiti attraverso l’apporto dei clan catanesi, per il tramite di Giorgio Cannizzaro e Alfredo Santangelo. Non sarebbero mancati gli imprenditori di fiducia, scelti per cercare di acquisire finanziamenti costituendo società ad hoc, principalmente in Lombardia. Nodi strategici erano la zona di Busto Arsizio e dell’hinterland di Varese. Le casse della mafia gelese sarebbero state riempite sfruttando settori tradizionali come il giro di droga e le estorsioni. Gli investigatori non hanno trascurato neppure la gestione di manodopera in nero che veniva utilizzata nei cantieri edili. A maggio, toccherà ai difensori esporre le ragioni dei ricorsi. Gli imputati sono rappresentati dagli avvocati Giacomo Ventura, Flavio Sinatra, Nicoletta Cauchi, Cristina Alfieri, Vania Giamporcaro, Fabio Schembri, Vincenzo Lepre e Maurizio Forte.

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