L’installazione dell’antenna per la telefonia era legittima, il Comune dovrà pagare pure le spese

 
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L'antenna installata fu osteggiata da diversi residenti che temevano emissioni pericolose

Gela. Lo stop alle autorizzazioni fu illegittimo. A otto anni di distanza, i giudici amministrativi del Tar di Palermo hanno bocciato il no che l’allora amministrazione comunale fece recapitare ad Ericsson, che intanto aveva installato un sistema radio base per le telecomunicazioni mobili nel cuore dell’area residenziale della Cittadella. Un’antenna per il segnale di telefonia che provocò reazioni anche da parte di diversi residenti della zona. Nel dicembre del 2011, dopo un lungo tira e molla burocratico, i tecnici del settore urbanistica bloccarono l’opera, escludendo che il silenzio assenso maturato potesse consentire la messa in opera dell’impianto. Vennero contestate una serie di anomalie, compresa la mancanza di documentazione sulla proprietà dei terreni. Inoltre, quell’installazione sarebbe andata in contrasto con quanto previsto dal piano regolatore generale, che nella zona ricomprende solo impianti sportivi. I legali di Ericsson si rivolsero alla giustizia amministrativa. Ora, il Tar ha accolto il loro ricorso annullando gli effetti dell’ordinanza di diniego firmata dai tecnici del municipio. I magistrati si sono soffermati sul fatto che il silenzio assenso si era comunque già concretizzato, senza che si potesse tornare indietro.

“Il provvedimento impugnato, adottato in data 20 dicembre 2011 è quindi illegittimo in quanto tardivo. Invero ove il Comune avesse ritenuto necessario il deposito delle fotocopie dei documenti di riconoscimento dei proprietari dei terreni su cui sarebbe dovuto ricadere l’impianto – per asseverarne l’autenticità – avrebbe dovuto chiederle in fase di integrazione documentale. Invece il comune pur avendo richiesto, in tale fase, il deposito di altri documenti – si legge nella sentenza – non ha chiesto il deposito delle fotocopie dei documenti di riconoscimento ritenute mancanti; inoltre il diniego impugnato risulta intrinsecamente contraddittorio, in quanto per un verso ritiene l’istanza della ricorrente inidonea a costituire una valida richiesta, produttiva del silenzio assenso, per altro verso l’esamina nel merito. La verità è che il Comune ben avrebbe potuto richiedere la produzione delle fotocopie dei documenti di riconoscimento mancanti, ma avrebbe dovuto farlo in occasione della richiesta d’integrazione documentale; non avendolo fatto non può fondare su tale assenza la mancata formazione del silenzio assenso”. La procedura adottata in Comune per bloccare l’opera fu quindi viziata e l’ente dovrà pure pagare le spese del giudizio.

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