Morte Romano, riparte giudizio di appello: operaio dieci anni fa perse la vita

 
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L'operaio Francesco Romano

Gela. Le richieste della procura generale dovrebbero arrivare il prossimo febbraio. Ieri, invece, è ripresa l’attività nel giudizio di appello scaturito dall’incidente mortale, costato la vita all’operaio trentenne Francesco Romano. Un tubo da otto tonnellate, dieci anni fa, si staccò da una catasta collocata lungo la radice pontile dello stabilimento Eni. Erano in corso lavori per la sostituzione di una linea. Per l’operaio non ci fu niente da fare. Ieri mattina, è stata valutata la possibilità di un accordo transattivo tra gli imputati e la famiglia del lavoratore, che porterebbe alla rinuncia della costituzione di parte civile. I familiari sono assistiti dai legali Emanuele Maganuco e Joseph Donegani e fin dall’inizio hanno seguito sia le indagini che l’intero procedimento penale. Rimarrà in giudizio, invece, sempre come parte civile, la moglie del lavoratore, costituita nell’interesse anche delle due figlie (è rappresentata dall’avvocato Salvo Macrì).  In primo grado, lo scorso anno, vennero emesse condanne nei confronti dei responsabili dell’azienda per la quale lavorava Romano (la Cosmi Sud) ma anche per quelli delle società specializzate nei controlli. Anche manager della multinazionale hanno ricevuto pronunce di condanna, tutte con pena sospesa.

Un anno e otto mesi per Bernardo Casa, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Rocco Fisci e Serafino Tuccio. Un anno e sei mesi di reclusione, invece, per Mario Giandomenico, Angelo Pennisi e Vincenzo Cocchiara. Infine, un anno e quattro mesi a Salvatore Marotta. Tutti i difensori hanno impugnato in appello. Le uniche assoluzioni furono decise per le posizioni di Guerino Valenti, Fabrizio Lami e Ignazio Vassallo. I difensori sono certi che non ci furono anomalie in quel cantiere e che ci sia stato il rispetto delle procedure di sicurezza. In primo grado, il pm Luigi Lo Valvo, nella requisitoria finale, parlò invece di una catena di “inefficienze”. Alle società, in relazione alle responsabilità amministrative, in primo grado fu imposto il pagamento di trecento quote (da 500 euro). Decisione che tocca Eni, Cosmi Sud, Pec srl e Sg Sertec. I legali degli imputati, con l’appello, cercheranno di ottenere decisioni favorevoli, ribaltando quella emessa dal tribunale di Gela. I difensori dei manager Eni spiegarono che la posizione aziendale dei loro assistiti non poteva estendersi agli aspetti tecnici dei cantieri, non rientranti nelle loro funzioni. In aula, si tornerà a gennaio.

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