Primo Capitolo – Attentato in Vaticano

 
0

La Mercedes Avangarde grigio metallizzato svoltò sulla via della Conciliazione, rallentando e accostando a destra, infine si accodò alla lunga fila delle potenti berline e delle automobili di grossa cilindrata provenienti dal lungotevere di castel Sant’Angelo, dalle quali scendevano le signore in tailleur, vestite alla moda, e gli uomini in smoking.

Era una serata romana profumata, fresca e autunnale.

Non appena Lorella Alfieri scese dalla sua elegante autovettura di fronte l’ingresso principale dell’accademia di santa Cecilia in Vaticano, i carabinieri, in grande uniforme invernale e di guardia ai lati dell’ingresso, si misero all’istante sugli attenti, con un marziale e deciso saluto militare, portando la loro mano destra e diritta sulla fronte, vicino al pennacchio rosso e blu.

Sotto le intense luci dell’edificio, la strada era coperta ai lati dal lucido basolato bianco che in avanti offriva agli ospiti una potente visione, e si materializzava nella vista della stupenda basilica di San Pietro e del colonnato del Bernini, illuminati a giorno, i quali dal teatro accademico potevano essere raggiunti, a piedi e con  il passo lento, in solo due minuti.

La donna, dai lineamenti esili e raffinati, che si muoveva con grazia, calzando le scarpe a chanel argentate e brillanti, poggiati sugli alti tacchi, sorrise a uno dei militari dell’arma dei carabinieri, irrigidito dalla divisa nera, statico nello sguardo e nel saluto.

Ella era bella, di un’altezza media, e indossava un elegante abito da sera, lungo, dal tenue colore rosa, con il corpino drappeggiato che le metteva in evidenza la collana a maglie di fine oro bianco e la spalla nuda, mentre l’altra era coperta solo da una stola dai bianchi ricami, tenuta avanti in un lembo dal suo sottile braccio.

I capelli ambrati, lunghi e mossi, le scendevano liberi sulle spalle e le accarezzavano la schiena dorata dal sole settembrino delle vacanze mediterranee trascorse in Sicilia, a Fontane Bianche, mostrando in evidenza il fisico esile e slanciato della donna.

Subito si diresse verso l’edificio della musica, e lentamente,  con straordinaria semplicità, mosse i suoi passi sul tappeto rosso che dal marciapiede conduceva all’ingresso della hall dell’accademia, per nulla imbarazzata dal flash del giovane fotografo ufficiale, diretti a cogliere la classe innata della donna e l’attimo fuggente dei suoi occhi blu, quella sera di un particolare azzurro intenso.

L’uomo indietreggiò, si piegò in avanti e scattò altre foto con la sua macchina fotografica digitale, quando il compagno della donna, sceso dall’autovettura teutonica di serie, oramai lasciata custodita nel vicino parcheggio, la raggiunse veloce all’ingresso del teatro, per starle vicino, camminando al suo fianco e prendendole il braccio.

Fabrizio Berti era stato un giovane avvocato di successo nella sua città natale, aveva guadagnato abbastanza denaro, l’aveva investito in borsa e, con una serie di manovre speculative sui derivati e sui warrant dei titoli azionari, era riuscito a mettere da parte tanti soldi e un cospicuo conto in banca da permettergli di avere la vita agiata, lasciare la sua terra e trasferirsi nella capitale, aprire poi un discreto studio legale, possedere l’autovettura di classe full optional, da  cambiare non appena ve ne fosse un’altra di suo gusto, infine abitare nel suo lussuoso attico di piazza di Spagna, a Trinità dei Monti, adibito a sua privata dimora.

Di corporatura media, egli aveva trentasei anni, dimostrandone alcuni in più per la vita sedentaria degli ultimi tempi,  per i suoi capelli lunghi e la barba leggermente grigi.

Originario di Catania, aveva lo sguardo caldo, convincente, e due occhi castano verdi che non mollavano mai l’interlocutore, riuscendo a interessarsi di più cose nello stesso istante, senza dare l’impressione di essere assorto nei suoi pensieri, anzi dedicandosi all’apparenza solo alla persona con la quale nel momento stesse dialogando, esprimendo a gesti e a parole le sue idee e le più intime convinzioni.

La sua voce ne rifletteva la personalità solare, ed era calda, precisa, a volte tagliente ma persuasiva, il suo accento privo di ogni flessione dialettale, consoni alla professione legale che lui svolgeva.

Il fotografo, questa volta li ritrasse insieme, poi i due eleganti compagni si portarono lontano dalla sua vista, confondendosi con gli altri invitati della serata che si preannunciava piena di incontri e di sorprese.

Da un anno i due ospiti, l’uomo e la donna, erano una coppia di quelle che a Roma facevano notizie, seguiti e ripresi dai giovani reporter e dai paparazzi avidi a vendere i loro servizi ai giornali e ai settimanali della capitale, che non perdevano mai l’occasione di fotografarli insieme, mano nella mano, nei ristoranti più rinomati ed esclusivi della città antica, sparsi nei sette colli.

Lei, da pochi mesi trentaduenne, era una giudice della locale procura distrettuale capitolina che aveva conosciuto il suo uomo in Sicilia e l’aveva convinto a esercitare la professione forense nella città dove era stata trasferita dietro una sua insistente domanda, e dopo avere maturato alcuni anni di servizio in sedi giudiziarie disagiate.

Il suo uomo, invece, suscitava la gelosia alle altre donne, avendo qualcosa di indefinibile che andava oltre l’apparente indifferenza; vedendolo così professionale e  squisitamente semplice, con il vestito grigio fumo che aveva indossato quella sera, di ottimo tasmania, l’estrosa cravatta blu elettrica sulla fine camicia di seta bianca, ricamata dai tenui disegni geometrici e stirata alla perfezione, con i suoi capelli lunghi, velatamente argentati, si provava immediatamente il desiderio di conoscerlo di persona ed essergli amico, oppure di entrare con lui in un confidenziale e piacevole dialogo.   

Fabrizio aveva suscitato l’interesse di Lorella quando i due si erano conosciuti al palazzo di giustizia etneo  e lei era una giovane giudice alle prime armi che parlava ai siciliani con l’accento accattivante e sensuale delle ragazze veneziane, da poche settimane arrivata nell’isola per il suo primo incarico da magistrato giudicante.

Aveva conseguito la laurea all’università romana della Luiss, quando decise di provare il concorso nella magistratura, superandolo immediatamente alla prima prova e con i pieni voti.

Era così preparata, pungente e bella, che gli stessi giudici e i professori membri della commissione di esami, alle prove orali, non riuscirono a valutare quale fosse la miglior dote della candidata lagunare, la quale affrontò e discusse gli argomenti giuridici con la serenità e la consueta conoscenza.

Sembrava la corrispondente di una guerra nel medio oriente, comparsa sul video di una delle principali televisioni di stato con un elevato share da prima serata, una modella francese prestata al grande cinema o alla televisione, capace di centrare nel cuore degli argomenti, mostrandoli con l’assoluta padronanza e competenza, rappresentandoli con la precisione e semplice puntualità.

Fabrizio, come gli altri suoi colleghi, era rimasto affascinato sin dal primo momento che l’aveva vista sul pretorio del giudice monocratico catanese, avvolta nella sua nera toga dai cordoli argentati, simile alla pura seta che accarezza la morbida pelle di una graziosa fanciulla.

La voce e lo sguardo della ragazza incantavano gli avvocati che non riuscivano più, nell’espletamento dei loro mandati difensivi, a sollevare nel dibattimento le obiezioni processuali alle quali erano molto avvezzi, quando ella presenziava all’udienza.

Lorella era a mala pena una ragazza della sua età, aveva bruciato le tappe della donna in carriera e di giorno indossava spesso i tailleur semplici nelle linee e nei disegni, dai colori tenui e di classe, oppure pantaloni in jeans e camicette di pizzo che abbagliavano la vista degli uomini, i quali per pudore, nel conferire, la puntavano negli occhi senza riuscire ad abbassare lo sguardo sul decolté dell’affascinante giudice.

“Avvocato Berti, mi aiuti a trasportare i fascicoli dell’odierna udienza dibattimentale presso il mio ufficio”, disse la donna magistrato il giorno in cui volle trattenersi con il difensore, al quale in un’afosa ora pomeridiana per ultimo chiamò la causa penale da lui trattata innanzi il tribunale monocratico etneo, al terzo piano del vecchio palazzo del pretore.

“Certamente dottoressa, è il minimo che io possa fare per una giudice così carina e prepotente”.  

“Grazie”, aveva riso lei, guardandolo diritto negli occhi e cogliendo l’ironia del giovane, che sottilmente ma con decisione le rimproverò l’ora tarda, e forse l’impertinenza di averlo trattenuto fino a quell’ora, provando un momento di imbarazzo in quella sua avance che sapeva di curiosità e interesse, forse intuita e svelatale dal giovane, come se l’avvocato avesse accettato la sfida.

Fabrizio, difensore del foro di Catania, era nel pieno della sua maturità professionale e affrontava ogni giorno i processi penali di ogni sorta e diavoleria, correndo a piedi e con la sua borsa  the bridge tra l’aula collegiale del tribunale di piazza Verga e quelle del giudice monocratico di via Crispi, per poi prendere dal parcheggio la sua autovettura e correre presso gli uffici di sorveglianza o le case circondariali della Bicocca, superando sempre i limiti di velocità del codice della strada quando si spostava con la sua fiammante automobile nella circonvallazione, o nelle disparate vie cittadine per raggiungere le sedi giudiziarie del distretto catanese, dove era impegnato nella difesa di detenuti,  di imputati liberi o degli indagati in attesa di giudizio.

Subito dopo quel sorriso che illuminò la stanza della giudice e macinò il tempo in minuti di piacevoli dialoghi e intriganti sguardi, l’avvocato l’aveva invitata ad uscire la sera successiva a piazza Europa per prendere un gelato di panna e cioccolato, e lei rispose “perché no”, andando all’appuntamento presso il bar Ernesto pettinata e truccata, con il tenue rossetto che le rese lucide e più sensuali le labbra, che quella sera stessa, buon per lei,  mentre passeggiarono sul lungomare di Ognina, dal giovane penalista le fu portato via con dei teneri, lunghi e intensi baci.

Quando la vide giungere puntuale nel luogo dell’appuntamento, vicino la torretta della piazza, egli rimase fulminato dalla classe che sprigionava la ragazza veneziana, dallo sguardo semplice ma sensuale, che lo raggiunse con un passo leggero, frizzante; dopo, nel giro di pochi giorni, riempiti dalle conversazioni al telefono o dagli incontri furtivi presso l’ufficio personale della giudice, le era entrata nell’anima, innamorandosi perdutamente di lei.

Lorella era stata sposata a diciotto anni con un marito dal carattere permissivo, ma vanitoso e avido di denaro, al quale la sera importava solo sapere quante parcelle gli fossero state saldate dai suoi facoltosi clienti, pur se era un avvocato incompetente, commettendo ogni genere di errori professionali nella gestione delle pratiche civili e penali alle quali era poco portato, ereditate dallo studio del defunto padre, dominus dello studio associato di avvocati penalisti e civilisti da lui rappresentato e diretto nel prestigioso rione Colonna di Roma.

Era stato Fabrizio a convincerla di lasciare definitivamente l’insignificante e negletto marito, che aveva peccato su di lei ogni genere di disinteresse e di indifferenza, ritenendo addirittura la giovane moglie una donna insicura anche nella richiesta della separazione legale, una femmina senza carattere, facendole credere di essere sempre la giovane adolescente di un’umile famiglia della marineria di Venezia che era riuscita a mettere piede sulla terraferma della capitale solo grazie alle  amicizie influenti e al nobile casato del marito, nonché ai suoi soldi, aiutandola a uscire dall’incubo  del ricordo dello sposo vecchio nell’animo e più grande di quindici anni, torbido e assente, inconsapevole di cosa fosse il corpo e l’anima della sua donna, dedito solo ai contatti con la società capitolina che conta nell’alta finanza, nel mondo delle banche e delle imprese di Stato.

Fabrizio, siciliano doc, invece, era uno scapolo considerato d’oro dalle sue numerose spasimanti, che in passato mai aveva voluto convivere con una delle sue tante ragazze, sparse nella penisola, alle quali, a volte, indulgeva intriganti inviti, amori e pericolose relazioni.

Diventato avvocato, s’era lanciato nella libera professione con la voglia di sfondare e di raggiungere l’indipendenza da ogni forma di limite sociale ed economico; cosa che gli era riuscita senza alcuna fatica e nel giro di pochissimi anni, divenendo uno dei penalisti più quotati di Catania.

Fabrizio e Lorella si erano innamorati perdutamente l’uno dell’altro, e avevano deciso che il di lei marito, Manlio, era solo una pietra di inciampo alla passione travolgente dei due giovani innamorati e al loro amore; un inutile ometto dal pancione abbondante, dal viso stempiato e ovale, che dal suo grandioso studio romano di palazzo Toni, in via Capo Le Case,  le poteva condizionare ancora la vita, facendola sentire una sua creatura perché le aveva dato la possibilità di studiare giurisprudenza, facoltà di studio a lei congeniale, invogliandola a partecipare al concorso nella magistratura, pur essendo la donna consapevole della sua preparazione giuridica, ma considerando il concorso togato solo alla portata di candidati che avessero avuto una buona segnalazione presso gli autorevoli membri della commissione d’esami, e dunque non alla sua portata.

Da quando Lorella era stata la signora Borghese, le sue difficoltà economiche, le titubanze sul domani e le incertezze della giovinezza, furono ricordi del passato; da più di dieci anni, lei era la moglie dell’avvocato Manlio Borghese, dei Principi dei colli Albani, e conduceva una vita da fiaba, con il marito che non le faceva mancare nulla e adorava presentarla all’alta società romana come una principessa fin dalla festa dei suoi diciotto anni, ma il trasferimento nell’isola siciliana le era stato fatale, poiché aveva iniziato a prendere consapevolezza dell’indipendenza, del suo essere una donna e una giudice, e il marito non poteva più permettersi, senza essere zittito dalla moglie, di frequentare la Roma bene ripetendo nei salotti buoni che il potere economico andava a nozze con quello giudiziario, trascurando la femminilità e le voglie dell’affascinante consorte, dimenticando di corteggiarla, di amarla e di darle un figlio, facendola sentire dunque poco soddisfatta.

Manlio Borghese aveva cercato di convincere la moglie, di professione magistrato, a desistere dall’abbandonarlo, ma oramai Lorella, da mesi lontana dalla sua casa, aveva depositato nella cancelleria civile del Tribunale di Roma la domanda di separazione giudiziale, rivolgendosi a un esperto avvocato matrimonialista, riuscendo poi a ottenere velocemente anche l’annullamento del suo matrimonio presso la Sacra Rota della  romana chiesa, per l’errore e il vizio sulle qualità essenziali del marito.

E quasi un anno dopo l’inizio della sua libertà, riscoprì le ineffabili sensazioni dell’amore vero, grazie all’uomo caldo e sensuale del profondo sud, le cui arringhe difensive nel corso delle udienze da lei presenziate, le procuravano un profondo imbarazzo e il rossore al volto, misto all’inconscio desiderio di essere plasmata e coccolata dalla sua voce.

Da quando era una giudice al tribunale di Catania, il marito Manlio Borghese, con la sua nobile freddezza e le intollerabili prese di posizioni, le subdole torture psicologiche, sia pure coperte da petali di rose e dalle carte di credito d’orate e senza limiti di spesa, appartenevano al passato.

Ora lei era una giudice requirente della procura della repubblica capitolina, l’ex consorte del principe Borghese, e i paparazzi della dolce vita romana cercavano con i loro flash un interesse nella sua privacy e nell’ufficio di sostituto procuratore che ricopriva, impegnata in delicate e corpose indagini investigative.

Mentre si avviavano alle poltrone loro riservate, in fila con gli altri ospiti, Lorella aveva l’aria sicura, serena e rinata, che spifferava felicità a ogni movimento del suo luminoso abito da sera e ad ogni sorriso.

Era stata sposata con un uomo importante, rampollo del nobile casato appartenente all’alta società romana e i flash dei fotografi anche quella sera glielo ricordarono, ma il passato oramai era lontano, più non la riguardava; adesso era una donna felice,  innamorata del suo uomo. E  questo lei lo sapeva.

Il presidente del consiglio dei ministri,  e la sua consorte, presenti a santa Cecilia, si unirono ai due giovani compagni prima di accomodarsi sul soppalco degli ospiti d’onore e strinsero la mano ad entrambi.

Il premier, elegante e gentleman come sempre, iniziò a parlare dei fatti politici della mattinata, raccontando a Fabrizio e al nugolo di uomini più fidati, al momento sul soppalco  principale e vicino alla sua poltrona, degli incontri mattutini a palazzo Chigi con il presidente degli Stati Uniti; poi colse l’occasione di riferire all’avvocato Berti, suo elettore e referente dell’ufficio legale della presidenza del consiglio dei ministri, nonché nella vita compagno di una delle migliori amiche della moglie, che dopo il concerto lo avrebbe voluto suo ospite nella sede secondaria del governo, per riferirgli di un nuovo incarico professionale.

Lui acconsentì, con un evidente sorriso sotto la barbetta finemente curata; e a bassa voce, chinando il capo in segno di rispetto,  gli rispose che certamente più tardi, con la sua donna sarebbe stato a palazzo Grazioli.

Intanto, la moglie del primo ministro, la signora Elisa Monti, prese sottobraccio l’antica amica di famiglia, di pochi anni più giovane, chiacchierando insieme circa la serata, gli ospiti, gli acciacchi della vecchia zia marchese dell’ex marito e il concerto che di lì a poco  ebbe inizio.

Ella conosceva bene Lorella: diverse volte l’aveva avuta sua ospite nella tenuta della piana di Agrippina e i rampolli del nobile casato dei Borghese erano di casa nella città natale del presidente.

La cortesia e le attenzioni della first lady verso la giudice furono considerati dagli altri ospiti dell’accademia  di santa Cecilia come l’evidente segno di rispetto per la privacy dell’amica prediletta, nonchè la prova tangibile dell’elasticità mentale e intellettuale della famiglia presidenziale, che nulla opinava sulla nuova ma collaudata relazione sentimentale dell’amica di famiglia.

Quando i due giovani presero posto nelle poltrone degli ospiti d’onore loro riservate,  dopo che il premier e la sua consorte si sedettero, la Roma bene girò le loro teste pettinate verso il palco ove presero posto gli ospiti; molte persone sorrisero e li salutarono con discrezione, chinando il capo e accennando a un sorriso.

Quanta strada era stata fatta da Catania.

Appariva vero quanto da Fabrizio era stato studiato e sognato sui banchi di scuola: tutte le strade portano a Roma.

Lui non aveva più l’idea di dove fosse il suo paese d’origine; ormai non gliene importava nulla.

Lì non aveva lasciato nessuno: i suoi genitori erano defunti da anni, gli zii paterni, che nell’infanzia lo avevano coccolato, erano emigrati in un paese sconosciuto della lontana Argentina, poi non aveva un solo fratello o una sorella.

In Sicilia rimanevano solo alcuni parenti e gli zii materni che erano stati assenti durante la sua crescita e gli studi, per nulla addolorati dal trasferimento del nipote nella capitale, e recarsi nella terra d’origine era per il giovane siciliano solo un piacevole ritorno al passato, oppure l’occasione di riposarsi e respirare il profumo del mare.

Ora c’era una realtà diversa con la quale misurarsi, un mondo di poteri e di persone influenti, fra le quali il presidente del consiglio dei ministri di una delle nazioni industriali più evolute al mondo e una bella donna in carriera; poi viveva nella città eterna.

Iniziò il concerto e i due giovani assistettero allo spettacolo, applaudendo uno ad uno i pezzi del maestro della filarmonica di Berlino, e alla fine dei bis, dopo la replica del caldo,  passionale Parsifal di Richard Wagner, raggiunsero nel salone principale, addobbato di velluto rosso e blu, gli altri amici e conoscenti, invitati della serata, unendosi a loro e agli altri conviviali. 

Il presidente della regione del Lazio chiacchierò amabilmente con Lorella, intrattenendola in un lungo dialogo, e la presentò alla moglie quando Fabrizio la lasciò per ritornare a discutere con il premier e avere maggiori dettagli sull’incarico che gli era stato proposto.

La dottoressa Alfieri, da buon inquirente, lo osservò con la coda dell’occhio mentre si allontanava da lei, perdendolo di vista dopo che lui fu vicino all’ambasciatore della Russia in persona e  a una splendida diplomatica di Mosca, addetta all’ufficio delle relazioni bilaterali  con il governo italiano, con la quale Fabrizio subito si intrattenne negli ampi saloni della hall dell’accademia ed ebbe una breve, piccante conversazione sul fascino femminile e sulla dolcezza della musica classica di Richard Wagner, commendando la grandiosità  del suo Parsifal, scusandosi poi con la donna del fatto che,  al momento e suo malgrado, era costretto a interrompere il dialogo  e a lasciarla per raggiungere il presidente, consegnando però con discrezione all’affascinante diplomatica un suo biglietto da visita, pregandola di farsi sentire al telefono se lei ne avesse avuto il piacere.

La serata trascorse velocemente, e anche se fu consumata con dei cocktail analcolici  serviti  al buffet dai camerieri o al bar degli invitati, fu certamente gradevole, serena e priva di monotonia.

Alla fine della serata, quando la coppia giunse a palazzo Grazioli  per il convivio privato in onore del premier e della first lady, Fabrizio si ritrovò nell’ufficio personale del presidente, in mezzo ad alcune delle personalità politiche più in vista nel governo, che il giovane conosceva da poche settimane, un onorevole capo gruppo alla camera dei deputati del principale partito di coalizione della maggioranza di governo e il signor ministro degli affari interni, che con argomenti diretti, senza alcun imbarazzo a parlare come rappresentanti istituzionali, chiesero all’avvocato se intendesse far parte della costituenda commissione d’indagine conoscitiva sulla sicurezza nazionale.

Solo dopo che il presidente diede per certa l’accettazione del nuovo membro della commissione, Fabrizio raggiunse la sua compagna, avviandosi velocemente al salone degli affreschi rinascimentali.

“Com’è andata?” domandò l’elegante donna al suo cavaliere, con consumata curiosità e decisione.

Il giovane sprizzò gioia da ogni foro della sua pelle,  che a mala pena seppe contenere la propria soddisfazione; subito raccontò alla sua partner che il presidente in persona gli aveva proposto di entrare a far parte in una commissione governativa, e prima ancora che l’avvocato avesse pronunciato il suo sì, lo stesso gli si era congratulato, augurandogli, quale membro tecnico, un proficuo impegno e del successo.

“Sono felice quanto te”, replicò Lorella, alzando lo sguardo verso il suo uomo, sorridendogli con gli occhi pieni di soddisfazione, come sempre stupefatta della sua personalità semplice, penetrante, che riusciva a conquistare  le simpatie  e i consensi di uomini arcigni come il presidente del consiglio oppure come il signor ministro degli interni, che quella sera gli era vicino.

Al magistrato, tuttavia non dispiacque che il compagno piacesse agli altri; lei si sentiva ancor più a suo agio con un uomo così giovane, solare e intelligente, stimato da tutti, implicitamente assecondata nella sua scelta di vita e quella sera invidiata anche dalle donne dell’alta borghesia e della nobiltà romana.

“Adesso capisco perché le persone continuino ad eleggere il nostro buon presidente”,  osservò il legale, mentre si pose come sempre al fianco della compagna, conversandole amabilmente.

“Secondo me, tutti i suoi amici e nemici sono consapevoli delle sue capacità intellettuali e della sua fine abilità politica”, le disse l’uomo.

Lorella, froidianamente, ebbe un po’ di gelosia che il compagno di vita si spendesse per il premier, e osservò di valutare personalmente gli uomini sulle loro capacità personali di proporsi e di raggiungere gli obiettivi, tuttavia non dimenticava quanti soprusi aveva dovuto subire da uno di loro, il quale in passato non aveva fatto altro di ricordarle che  le sue doti professionali erano il frutto di amicizie del marito e delle conoscenze di questi nei salotti romani che contano; e tali considerazioni lentamente le avevano fatto perdere l’ingenuità della giovinezza e ne facevano una donna affabile, ma talvolta calcolatrice, tagliente, addirittura pungente e aggressiva.

Convenne che era prematuro pensare del presidente come di un politico che si era fatto da sé, a differenza del suo compagno che pur piccolo a confronto con l’uomo più potente della nazione, aveva raggiunto i suoi obiettivi professionali e umani, che nessun elettore poteva revocargli nella successiva competizione elettorale.

A lei piaceva parlare alle sue amiche del giovane partner, descriverlo come il giovane laureato che si era costruito con le sole proprie forze, adularlo come un avvocato di grido e di successo, tuttavia quei salotti, dai quali due anni prima era fuggita, ora le sembravano una sua seconda pelle e, ragionando da pubblico ministero, provò gusto a sentirsi una signora invidiata nei club esclusivi della capitale, addirittura inquirente degli uomini più potenti della nazione.

“Vogliamo ritornare a casa”, le sussurrò Fabrizio con un evidente sorriso sotto la barba finemente incolta, anche quella sera lasciata ben curata prima di uscire dall’attico e chiudere la porta di casa.

Lorella rispose di sì, oramai soddisfatta della serata che le aveva dato quello che lei desiderava, visibilità sulla stampa locale e sui rotocalchi della Roma bene e dell’alta finanza, contatti utili con gli uomini e le signore più importanti e potenti che vivevano o affollavano il palazzo del governo.

Arrivò alla conclusione che era arrivata l’ora tarda e del resto il ricevimento, con il congedo della first lady dagli ospiti della serata, poteva considerarsi finito.

Il primo ministro e la moglie, accompagnati fino all’ingresso delle loro stanze private dagli uomini della scorta presidenziale, si erano ritirati nei loro appartamenti privati, salutandoli; dunque, non restava loro che lasciare l’antico edificio.

I due giovani uscirono insieme agli altri ospiti che si apprestarono a lasciare gli androni adiacenti; fuori, anche se non li aspettava l’autista, c’era la loro veloce autovettura teutonica parcheggiata nel piazzale antistante, con la quale raggiungere in pochi minuti la dimora del giovane legale, nei pressi di piazza di Spagna, e riposare su un buon letto; la mattina dopo li attendeva una giornata di lavoro infernale in procura o a palazzo di giustizia presso le aule giudiziarie.

Per loro, era passato del tempo dai giorni e dai mesi vissuti insieme in Sicilia, ai piedi del potente vulcano dell’Etna e nella ridente città di Catania, in una terra dove curiosamente le persone sono solari e notano anche i cambiamenti minimi dell’inquilino della porta accanto, ma, se consultati,  dicono di non avere visto o sentito nulla.

A volte Fabrizio stentava a credere di vivere nella città dei suoi sogni, accompagnato dalla sua affascinante donna che era una giudice dal carattere serio, deciso, e una pubblico ministero titolare di delicate indagini, tale da suscitare la soggezione ai potenti.

Senza alcuna nostalgia, ricordò la vita di routine nell’isola e per niente si sentì imbarazzato che quelle due esistenze, una in Sicilia e l’altra a Roma, fossero tra loro così diverse e facessero parte di una sola vita, la sua.

“Di che cosa hai parlato con il presidente”, disse Lorella, inconsapevole che le sue richieste fossero dirette e puntuali come quelle di un investigatore, volendo conoscere ogni particolare del colloquio riservato con il capo del governo, fingendo però che la cosa le importasse poco, seduta guardandosi sullo specchietto del parasole dell’autovettura che intanto scivolava lungo le strade cittadine, domandando curiosa, aggiustandosi alcune ciocche dei suoi capelli ambrati e dalle sfumature rosso tenue che le scendevano sulla fronte.

Ella era affascinante e incantevole come all’inizio della serata, prima ancora dell’ingresso all’accademia nazionale di santa Cecilia, e la sua classe era esaltata dal vestito dal design sobrio e elegante di un noto stilista fiorentino, che tra le amiche e le nobildonne  presenti nei due momenti della serata, prima all’accademia, dopo a palazzo Grazioli, le procurò ammirazione e invidia.

Per Fabrizio lei era anche dolce come la musica di quella sera, preziosa quanto le note artistiche della filarmonica berlinese, e la desiderava più di quanto immaginasse.

Invece di infastidirsi per le domande che riguardavano la sua privacy professionale più intima, fu contento di risponderle, confidandosi apertamente, poiché stava di fronte alla donna che gli aveva consentito di frequentare Roma e i luoghi sognati sin dall’infanzia, e di ascoltare quella sera al teatro di  Santa Cecilia il mitico e suggestivo Parsifal, la cui forza selvaggia e romantica lo aveva sempre affascinato. 

La ragazza conosceva la gratitudine che le riveriva il suo compagno, e orgogliosa nulla faceva per non farsi ripetere quegli impliciti “mille grazie” che si dicono alla persona che ha dato tutto il suo aiuto.

In fondo, lei sapeva farsi ringraziare e nascondere bene quando le era stato offerto dal giovane penalista, che l’aveva alienata dal ricordo di un uomo parassitario e legnoso, insegnandole ad amare e a fare all’amore, anche se lei per pudore lo ammetteva solo a se stessa.

“Con il presidente abbiamo discusso di una mia partecipazione a una costituenda commissione d’indagine sulla sicurezza nazionale”, le rispose incerto, perché ancora lui stesso non conosceva gli atti secretati dei servizi di sicurezza e dei ministeri interessati, dai quali sarebbero partiti i lavori della commissione.

“Ti darò  maggiori dettagli quando saprò con certezza l’oggetto e le finalità dell’indagine conoscitiva”.

“E quando prevedi di iniziare?”, gli disse con la consueta voce morbida, accarezzata dal dolce e ammaliante accento dei lagunari di Venezia, apparentemente civettuolo, in realtà puntuale, non riuscendo però a nascondere una curiosità che non fosse solo donna.

Lorella era un ottimo pubblico ministero e il suo lavoro quotidiano ogni giorno la portava a essere attenta e pungente; atteggiamento che oramai da qualche anno la distingueva, permettendole di conoscere i fatti e i misfatti degli uomini più potenti e delle donne influenti, da analizzare, confrontare, sviscerare, infine prendere di polso.

“Ancora non lo so”, le chiosò.

“Domattina andrò dal signor ministro degli interni in persona e inizierò a vagliare il nuovo incarico; se possibile, voglio dimostrare di essere in commissione la persona giusta e competente a relazionare il primo ministro”.

La donna sapeva che ogni cosa che potesse riguardare il presidente del consiglio dei ministri era potenzialmente importante per l’ufficio da lei ricoperto.

Il premier era amato dalla gente e dagli elettori, però il  procuratore capo di Lorella, dirigente dell’ufficio inquirente di Roma, diffidava dalle operazioni finanziarie di persone vicine al suo staff  e gli ultimi avvicendamenti in politica interna ed estera erano stati visti con ostilità dalla stessa procura della repubblica di Roma, se non altro per motivi sinistroidi e meramente politici che erano sposati dai componenti togati dell’ufficio, poco avvezzi alla politica clientelare della cerchia degli amici del presidente, e forse inconsciamente gelosi delle loro fortune.

Percorsero il tragitto di pochi chilometri tra il palazzo di rappresentanza del governo e la dimora di Fabrizio con la fiammante, teutonica automobile che scivolò con le sue gomme nelle strade romane del centro storico, coperte dai san pietrini,  rompendo il silenzio notturno della città antica.

All’interno della berlina i due innamorati parlarono ancora della serata lieta, e l’uomo riferì all’intrigante compagna di avere conosciuto di sfuggita una diplomatica di Mosca, fine e di classe, che con il suo abito  lungo,  in seta blu e da gran sera, a sirena e con un leggero strascico, sembrava certamente una nobildonna russa, seppure  giovanissima e dai lineamenti di ragazza; riferì che aveva pure lo sguardo incantevole.

Osservò però, continuando a guidare  l’autovettura e tenendo la mano sinistra della compagna sul cambio e nella sua mano destra, che lei era più bella e affascinante.

Della nuova conoscente, aggiunse, non ne ricordava più il nome di battesimo.

Infine, cambiando immediatamente l’argomento, il quale era poco interessante e indifferente alla graziosa ragazza, e prima che le potesse suscitare un po’ di gelosia, si dichiarò entusiasta della serata e dell’incarico ricevuto che, se svolto con la competenza professionale e il puntiglio rigoroso a lui stesso noto, gli avrebbe dato della visibilità fuori dalle aule di giustizia romane.

Pochi minuti dopo arrivarono a Piazza di Spagna, e Fabrizio manovrò con l’autovettura verso il vicolo della sua dimora, parcheggiandola nel piccolo garage adiacente, da pochi mesi preso in affitto.

La coppia scese dall’elegante Mercedes e si avviò verso il portone di casa; salirono insieme le scale fino al piano attico, mentre il giovane, ancor prima di entrare nell’abitazione, impaziente iniziò ad allargare il nodo della sua cravatta Armani e a liberare dai gemelli le maniche della bianca camicia di seta.

“Domani sarà una giornata infernale”, le disse l’avvocato Berti, riferendosi alla celebrazione di un’udienza preliminare al tribunale di Roma che vedeva alla sbarra un suo cliente e la metà dei membri della sezione di polizia stradale del distaccamento locale di una piccola cittadina della provincia capitolina, accusati di peculato, corruzione e concussione contro la pubblica amministrazione. 

La donna, invece, si portò immediatamente in camera e lì fece scivolare dalle sue candide spalle il leggero abito rosa, sicura che il compagno l’avesse seguita e, rimanendo avanti il letto, iniziò a spogliarsi con movimenti aggraziati e intriganti anche dei suoi collant, rimanendo vestita solo della lingerie e delle scarpe argentate, dall’alto tacco a spillo.

L’affascinante ragazza veneziana aveva il corpo divino, disegnato dalle sinuose curve che a distanza di quasi due anni, da quanto il giovane l’aveva posseduta la prima volta, ancora lo lasciavano con lo sguardo piacevolmente avido, quasi senza fiato.

Fabrizio era consapevole del fascino della donna e, a differenza di Manlio, sapeva apprezzarlo.

L’ex marito era stato un ebete,  incapace di dare amore anche a un suo simile, nonostante la cerchia degli amici più stretti pettegolassero sulle sue ambigue e strane tendenze omosessuali, indifferente dei sentimenti della moglie, nudo delle attenzioni che si riservano a una giovane ed avvenente sposa.

Una volta Lorella gli si era spogliata davanti, improvvisandogli uno spettacolo inedito e di classe, fatto di gesti sensuali, lenti e decisi.

Manlio, però, anziché interessarsi solo alla vista della sua donna, dal fascino seducente e intrigante, l’aveva invitata a mettersi un castigato baby doll perché lo strip tease non era consono ad una vera signora; poi le diceva che la sera lui era sempre stanco, e non gli andava di fare all’amore.

Fabrizio invece era un uomo diverso.

Il giovane siciliano l’aveva amata sin dal primo momento  del loro incontro: i loro baci, gli abbracci, ad ogni ora erano stati tenuti segreti anche dalle mura del palazzo di giustizia e dall’ufficio del giudice monocratico della dottoressa Alfieri.

“Lo sai che non puoi permetterti davanti a me di indossare la tua morbida pelle”, le disse l’uomo con la consueta sottile ironia, avvicinandosi piano alla donna, offrendole una naturale avance.

Sdraiati sul letto, costruito personalmente da Fabrizio con  le spesse tavole di legno, montate sui tubi Innocenti acquistati al mercatino del quartiere romano di Porta Portese, ed adagiati sotto il morbido materasso di piume d’oca, il giovane innamorato, con le mani decise, studiate ma delicate, l’attirò a sé.

Lorella istintivamente si strinse al suo uomo, abbracciandolo e rannicchiandosi sul suo corpo, rimanendo alcuni attimi in quella posizione che ogni notte le era oramai familiare. 

Spesso i due giovani si parlavano con le parole dolci e soffuse prima di addormentarsi, giocando come degli eterni innamorati, stuzzicandosi e raccontando ciascuno le proprie esperienze, vissute durante la giornata, dei fatti che li avevano coinvolti e degli incontri di lavoro.

Lei, con voce sorniona e delicata, continuò nuovamente a chiedergli che cosa gli avesse detto quella sera il presidente, e questa volta lui le chiese spiegazioni di tanta curiosità, soprattutto in un momento nel quale lei se ne stava vicino al corpo dell’uomo, felice di riscaldare le sue mani sui caldi fianchi di Fabrizio, il quale la ricambiò riempendola di coccole e attenzioni.

“Domani ti darò maggiori dettagli; adesso rilassati”,  le disse.

“Va bene”, rispose la donna con l’apparente decisione.

“Ma ricordati, i segreti mi fanno impazzire, e solo dopo avermi svelato ciò che sai, io sarò buona e paziente”.

“Sei tu che mi fai impazzire, mio dolce amore”, le replicò l’uomo, avvicinandosela con la dolcezza e la forza di sempre, sfilandole la lingerie, sfiorandole con i suoi baci la morbida e bronzea pelle, accarezzando con le sue mani morbide e decise i fianchi e le gambe della ragazza, ora libere anche dei collant e delle scarpe dagli intrecciati fili d’argento.

Lorella non era mai stanca di essere coccolata e il giovane conosceva i modi per stuzzicarla, compiacendosi che lei fosse completamente sua, così come lo era stata nell’ufficio del giudice monocratico sin dai primi giorni che l’aveva conosciuta, amandola appassionatamente nel suo nido, senza alcuna paura di violare la sacralità del palazzo di giustizia catanese.

Anzi, Lorella mostrava una voglia inesauribile del suo ragazzo, che era per lei il solo uomo, l’amico del cuore, l’amante ideale.

Di lui amava ogni cosa, le linee delle mani, i disegni delle sopracciglia, lo sguardo e gli occhi verdi; del giovane era curiosa, desiderosa di sapere che cosa facesse in ogni ora della giornata, anche quando erano al lavoro, e le pause delle udienze dibattimentali erano il piacevole momento di telefonare all’altro per dirgli “dove sei, cosa stai facendo”. 

E su questo lei aveva sempre delle osservazioni puntuali e piccanti da fare, ammonendolo di non trascurarla, di non frequentare in sua assenza belle donne, perché diversamente gliela avrebbe fatta pagare.

Quella notte però, lasciatasi alle spalle ogni  altra valutazione, non riuscì a pensare che al desiderio, all’uomo che la strinse con la passione di sempre, che le trasmise una piacevole libido, la serenità e il calore.

Fabrizio non aveva mai nulla da osservare anche quando lei lo abbracciò con forza e da inquirente continuò a chiedergli, a domandare; al contrario, era felice che lei fosse interessata alle sue piccole cose, e l’attenzione della donna lo faceva sentire un uomo al centro del mondo, soddisfatto.

In fondo, l’avvocato Berti, abbracciandola sotto le lenzuola, era eccitato non solo dal corpo caldo e sensuale della sua coinvolgente partner, che gli stava parlando in quel momento soffiandogli in un orecchio, ma anche dal fascino che lei sprigionava ogni qual volta gli domandasse la cosa più insignificante.

Forse gli balenava in mente anche la sensazione indecifrabile di sentirsi sottoposto a un dolce e intrigante interrogatorio, e su questo avrebbe avuto da opinare, ma ogni qual volta accadeva, sottometterla era la sua giusta rivincita.

Quella volta, però, riuscì a pensare solo a lei, che gli suscitò emozioni e ineffabili sospiri, lasciando da parte le dolci vendette che lei gli  intimava ogni qual volta lo invitasse a confessarle i suoi segreti e delle quali la donna, con il sorriso sulle labbra, si dichiarava di non essere spaventata.

Quando i giovani, dopo un’apparente, brevissima lite e le intriganti avances, si baciarono ancor più appassionatamente, lasciandosi andare nell’alcova, lei strinse le sue mani asciutte e calde sui fianchi del suo uomo che la possedeva, e con sottile cattiveria diede un piccolo, tenero morso all’orecchio sinistro di Fabrizio, il quale non si lasciò sfuggire il lamento di dolore, misto al piacere, che subito provò.

Egli si sentiva amato dalla sua dolce ragazza veneziana e non sollevava mai alcuna obiezione;  nemmeno quella volta, quando nell’attimo più intenso del piacere, le mani della ragazza si portarono nuovamente sulla schiena calda dell’uomo e le sue unghie graffiarono leggermente le spalle e i fianchi dell’amante.

Era evidente che lei aveva una voglia irrefrenabile di affetto, di sentirsi coccolata, e a letto osava mostrargli il suo carattere pungente senza dimostrare alcuna paura di perderlo; Fabrizio poi sapeva farsi rispettare, prendendola con la forza, saltandole sopra con continui assalti amorosi, sentendosi il regista della coppia anche quando la invitò a distendersi sopra di lui.

Al contrario, era felice che lei gli fosse così vicina e protettiva.

Ciò che lo eccitava di più era il fascino e la bellezza della sua donna, piena di sensualità e di potere anche quando giocavano all’amore, anche quella volta,  nell’alcova della mansarda del quartiere di Trinità dei Monti, voluta a ogni costo dal novello proprietario che, per comprarla,  era ricorso ad uno stratagemma di mestiere, avendosela sei mesi prima aggiudicata a buon prezzo in una vendita all’asta con incanto.

Anche quella notte, dunque, starle vicino lo fece sentire arrivato, e possederla a letto, teneramente o con la forza, lo ubriacò di forti emozioni, fino a quando alcuni minuti dopo, con  gli ultimi assalti e piacevoli sforzi, la sollevò su di sé, sopra il suo corpo disteso, e  le venne dentro, adagiandola dolcemente poi sulle lenzuola, vivendo gli ultimi attimi fuggenti e intensi della lunga notte, che alla fine lo resero un uomo esausto ma soddisfatto.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here