Un operaio dell’indotto Eni morì dopo la malattia, il perito in aula: “Ho escluso un collegamento con l’amianto”

 
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Gela. Gli approfondimenti investigativi iniziarono dopo che l’operaio sessantenne Giuseppe Lauria si ammalò. Morì, tre anni fa, stroncato da un carcinoma maligno.


Il perito sentito in aula. Per anni, ha lavorato nell’indotto della fabbrica Eni. Così, a processo sono finiti quattro ex responsabili di aziende per le quali l’operaio prestò servizio, tra gli impianti di raffineria. Si tratta di Giovanni Pannuzzo, Angelo Questante, Salvatore Turturici e Nando Bacone. In aula, davanti al giudice Lirio Conti, è stato sentito il perito nominato dai pm della procura per valutare il caso dell’operaio. “Ho escluso un collegamento tra la patologia e l’amianto presente in fabbrica – ha spiegato – successivamente, però, ho valutato anche l’incidenza degli idrocarburi policiclici aromatici. In fabbrica, c’è una percentuale di concentrazione elevata”. Valutazioni discordanti, almeno stando ai difensori degli imputati, gli avvocati Flavio Sinatra, Angelo Licata, Maurizio Cannizzo e Angelo Urrico. I legali, infatti, hanno cercato di ricostruire la vicenda sanitaria dell’operaio che avrebbe scoperto di essere malato mentre effettuava altri accertamenti clinici. “Gli idrocarburi policiclici aromatici – ha proseguito il perito – possono trovarsi, ovviamente in percentuali più basse, anche fuori da una struttura produttiva come la raffineria Eni. Tutto dipende proprio dalla concentrazione”. Già in fase di udienza preliminare, i legali hanno escluso un collegamento tra quanto accaduto all’operaio e i ruoli assunti dai quattro imputati, che comunque avevano incarichi a rotazione in cooperative dell’indotto, con mansioni non differenti a quelle degli altri operai. In udienza preliminare, il gup dispose il rinvio a giudizio solo dei quattro imputati, pronunciando l’assoluzione per i manager di Eni. Verdetto di assoluzione che, negli scorsi mesi, è stato annullato, con rinvio, dai giudici della Corte di Cassazione.

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