Conseguenze per una bambina colpita da un’occlusione intestinale, una condanna

 
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Gela. Ci sarebbe stata una sottovalutazione delle condizioni di una bambina, poi costretta ad un intervento d’urgenza, in una struttura catanese, nel corso del quale le vennero asportati circa centodieci centimetri di intestino. Il giudice Miriam D’Amore, a conclusione di una lunga attività istruttoria, basata anche su perizie tecniche, ha disposto la condanna, a tre mesi di reclusione, con pena sospesa, per il medico, che sette anni fa, quando la piccola arrivò all’ospedale “Vittorio Emanuele”, era in servizio nel reparto di pediatria. Ai genitori della bambina, parti civili nel suo interesse, rappresentati dall’avvocato Pietro Stimolo, è stata riconosciuta una provvisionale da ventimila euro, oltre al diritto al risarcimento dei danni, da definire però in sede civile. Il pubblico ministero Pamela Cellura, al termine della requisitoria, ha concluso con la richiesta di condanna ad un anno di detenzione. Il pm ha ripercorso i giorni che precedettero l’intervento chirurgico, poi effettuato a Catania, ribadendo che l’equipe medica del pronto soccorso del nosocomio di Caposoprano e gli specialisti di pediatria non avrebbero immediatamente compreso che la bambina stava andando incontro ad un’occlusione intestinale, che poi le costò l’asportazione. Per l’accusa, non ci sarebbero state le necessarie precauzioni sanitarie, soprattutto per una bambina, che dopo pochi giorni dalla nascita aveva già subito un intervento chirurgico. Il legale di parte civile, descrivendo le condizioni della piccola, ha comunque parlato di responsabilità diffuse, non legate alla sola valutazione del medico, finito a processo. Il difensore, l’avvocato Antonio Gagliano, ha esposto in maniera molto dettagliata, anche sulla base delle cartelle cliniche e dei documenti sanitari, le ragioni che lo hanno portato ad escludere responsabilità del medico, che secondo questa linea avrebbe effettuato tutto quello che i dati sanitari in suo possesso potevano determinare. Non ci sarebbe stata nessuna sottovalutazione delle condizioni della bambina, che inizialmente aveva lasciato il nosocomio, per poi farvi ritorno dopo alcune ore.

La difesa, tra le altre cose, ha sottolineato come inizialmente uno dei genitori che era con la bambina avesse rifiutato il ricovero. Il medico, secondo il legale, avrebbe agito in assoluta coerenza al quadro clinico che gli era stato prospettato dal pronto soccorso. Fu un altro specialista di pediatria a disporre accertamenti più approfonditi sulla bambina, che portarono all’intervento, svolto dai sanitari etnei.

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