Giovane perse il bambino, periti: “Medici potevano intervenire prima”

 
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Gela. Già il tracciato che venne effettuato, a fine agosto, su una giovane partoriente, avrebbe dovuto mettere in preallarme l’equipe medica del reparto di ostetrica e ginecologia dell’ospedale “Vittorio Emanuele”. Poi, la giovane, nel settembre di cinque anni fa, perse il bambino che aveva in grembo. In aula, sono stati sentiti i tre consulenti della procura, che hanno effettuato accertamenti clinici e specialistici sulla documentazione acquisita dagli investigatori. A rispondere dei fatti, sono due medici del nosocomio di Caposoprano, Emanuela Bartoli e Rosario Ferraro. Secondo le contestazioni mosse dalla procura, non avrebbero assunto le necessarie misure cliniche e terapeutiche, per evitare il decesso del feto. La giovane e la sua famiglia denunciarono i fatti, facendo partire l’inchiesta. La scorsa settimana, i periti sono stati sentiti in aula, davanti al giudice Miriam D’Amore. Hanno risposto alle domande di tutte le parti. Il pm Pamela Cellura ha ulteriormente approfondito l’aspetto degli esami pre-parto. Gli esperti chiamati a testimoniare, oltre ad aver spiegato che già i tracciati di fine agosto dovevano essere considerati come un primo campanello d’allarme, hanno indicato che si poteva evitare lo stress subito dal feto, anche attraverso un parto anticipato. La causa del decesso sarebbe da collegare a difficoltà respiratorie, con il cordone ombelicale che si avvolse intorno al collo. I medici, ora a processo, invece ritennero che i tracciati non fossero anomali. La giovane, però, ad inizio settembre, presentatasi per gli ultimi accertamenti, ebbe la notizia della morte del feto. Nel giudizio, lei e la famiglia sono parti civili, assistiti dall’avvocato Flavio Sinatra. I due medici, invece, sono rappresentati dai legali Gualtiero Cataldo e Vania Cirese. Per le difese, gli imputati non avrebbero assolutamente sottovalutato il caso della giovane. Hanno scelto di portare in aula, come testimoni, anche i loro periti di parte, che illustreranno le conclusioni tecniche. In aula, è stata sentita la sorella della giovane. Ha raccontato quanto accaduto in quei giorni.

Ha spiegato che i medici non avrebbero compreso la gravità del quadro clinico. Alla notizia della morte, montò la rabbia della famiglia. La difesa di Bartoli ha ricordato che la sorella, sentita come testimone, è a processo per lesioni ai danni del medico. In aula, si tornerà il mese prossimo.

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