“J.A.”, l’agente segreto di Cavour e l’archivio misterioso per conquistare il meridione

 
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Gela. Vogliamo raccontare del periodo di voto del plebiscito per l’adesione al regno d’Italia delle regioni che ancora non avevano aderito. Durante le operazioni di voto, Cavour si comportò in modo così maldestro che, alla fine dello scrutinio, risultarono più votanti che elettori aventi diritto e si aggiustò il tutto con i verbali. I votanti nell’Emilia non furono più dei quattro quinti degli abitanti che si avvicinarono alle urne. L’agente di Cavour J.A., incaricato di seguire le operazioni di voto, era al corrente dei fatti che servivano a lui per portarli a conoscenza della Francia. Come erano andate le cose che riguardavano le manifestazioni del suffragio che fu organizzato dagli agenti segreti di Cavour, questi si svolsero nella forma voluta dal torinese e furono rispettati tutti i canoni stabiliti dal grande stratega. Tutti i manifesti venivano stampati dai piemontesi a Torino con la scritta “Viva l’indipendenza italiana” e “Vogliamo per nostro legittimo re Vittorio Emanuele II”.

 

Questi manifesti stampati a Torino, venivano inviati a Napoli agli agenti di Cavour che li collocavano nei balconi e nelle finestre della città. In Toscana e Parma e nelle province annesse con plebiscito al regno Sabaudo, la procedura di annessione era sempre la stessa. Dopo avere terminato con successo la procedura di annessione, il signor Farina torna a Torino e, da Cavour, viene nominato ministro dell’interno. In alcune raccolte dei suoi racconti, Alessandro Dumas asserisce che Bertani, segretario di Garibaldi a Genova nella qualità di semplice ufficiale di sanità guadagnava 1 franco e 50 centesimi fino al 1861, con Garibaldi diviene Colonnello di Stato Maggiore e la sua fortuna raggiunge la cifra record di 14 milioni. Dei 4 milioni non si conoscono le origini, ma sicuramente furono la mancia che Bertani pretese dai banchieri Adamo e Camp di Livorno a cui fu accordata una concessione ferroviaria di rilevante importo e molto richiesta: Sicuramente non è scopo di questo lavoro, portare a conoscenza dei lettori le luogotenenze di Farini, di Nigra e di San Martino legati a Garibaldi e Cavour per scoprire i loschi affari dei salvatori del mezzogiorno italiano e dell’unità d’Italia mai fatta. Molti documenti, lettere sono rimasti nelle mani dell’agente J.A. che si trovava a Napoli quando a Torino si celebrava nel 1861 il processo alla banda della Cocca. Regno di Cavour. Il pentito Cibolla voleva che venisse chiamato a testimoniare Filippo Curletti. Forse era proprio Curletti il misterioso personaggio che si nascondeva dietro la sigla J.A. che nel 1862 aveva firmato l’atto di accusa nei confronti delle cosche, dei Savoia e del Governo piemontese? I servizi segreti italiani cercavano dove potessero essere nascoste le carte e il suo archivio? agiva da solo? Era manovrato da potenze straniere? Bisognava sapere in tutta fretta dove si trovasse l’archivio segreto e in quale città per disinnescare quella micidiale arma per ricattare il regno unitario e il suo governo. La ricerca di Curletti non è molto chiara ma è certo che Adriano Colocci Vespucci, nelle sue ricerche, si era imbattuto in Griscelli, famoso personaggio barone di Rimini di cui ne aveva seguito i movimenti in tutta l’Europa. Il Griscelli, uomo dai diversi profili, spadaccino, uomo d’armi che faceva di tutta l’erba un fascio, era capace di qualsiasi baldoria e disposto soprattutto a lasciarsi arruolare da chiunque purchè venisse pagato. Il primo a parlarne fu Victor Hugò nella sua storia di un crimine. Sembra che il Corso Giacomo Francesco Griscelli venisse assunto per uccidere il poeta francese che dava fastidio e pagato con 25.000 franchi sborsati da Pietro Maria Pietrocogo della squadra Corsa (guardia pretoriana di Napoleone III). Questi avevano ricevuto l’ordine di tenere sotto controllo i Mazziniani cospiratori italiani che trovavano rifugio a Parigi. Griscelli fino al 1858 era stato tenuto in considerazione da Napoleone III, ma dopo il fallito attentato di Felice Orsini contro Napoleone III fu costretto a fuggire a Londra e poi a Vienna, coperto dalla polizia Austriaca. La protezione fu scoperta tra le pagine di Romualdo Bonfadini parlamentare del Regno d’Italia tra il 1867 e il 1896 e autore del libro “la vita di Francesco Arese.” Tutte queste informazioni del Piemonte e della Svizzera servivano al conte Buol Seshauenstein. Il conte si serviva delle informazioni per sorvegliare le mosse dei cospiratori Italiani e controllare la “sua” polizia. Questo conte aveva ramificazione a Londra, Parigi e Svizzera. Un capo era un agente segreto nominato a Torino. L’Italia aveva contatti molto stretti con la donna di un sospettato spione Austriaco che trasferiva le informazioni all’italiano Giacomo Marchisio, legato a Filippo Curletti, agente di Cavour. Il Criscelli si sposta in Italia e a Pesaro e nel 1859 si trasferisce a Torino per mettersi al servizio di Cavour. Colocci, Griscelli e Filippo Curletti si conoscevano perché dopo il processo alla Cocca si erano ritrovati a Ginevra. Il Griscelli aveva convinto l’italiano a farsi consegnare il suo archivio, dietro pagamento del monsignor Mermillod di Ginevra. Sembra che dietro la sigla di J.A. si nascondessero i nomi di Griscelli e di Gorletti. La collaborazione di questi uomini si interruppe quando il corso che aveva servito Napoleone III, Austria, Inghilterra e Cavour contemporaneamente venne individuato dagli agenti segreti. Con il tempo è calata una coltre d’oblio sulle persone e sui fatti. Nessuno sa dove sia finito l’archivio di Curletti e Colucci. Forse assassinati. Tutta questa ricerca, per dimostrare ancona una volta come i nostri salvatori impegnati a distruggere i Borboni si sono prodigati con le armi e con il malaffare a cancellare i nostri 126 anni di storia, compresa la nostra civiltà, per unificare l’Italia, ancora disunita. Unificazione fatta semplicemente a spese del meridione economicamente e socialmente. Questi sono stati i grandi sacrifici dei ladri piemontesi e tosco-padani del risorgimento italiano. Oggi si vantano di possedere infrastrutture e risorse economiche di vario tipo sottratte spudoratamente al meridione relegato a regione colonizzata al servizio dei signori del nord. In questi ultimi quasi 200 anni, loro hanno acquisito e traferito al nord tutto quello che materialmente è stato possibile trasferire, giustificato sempre dalla loro cultura avanzata rispetto agli uomini del sud, rimasti mafiosi e ignoranti, dopo il 1860. Il loro progresso non ha limiti, ogni piccolo centro del nord è servito di autostrade e strutture produttive tanto che le televisioni non possono fare a meno di informare i cittadini settentrionali nella rubrica “viaggiare informati sulle autostrade dell’Italia”, dimenticando che si tratta solo di autostrade costruite al nord anche con i soldi destinati al sud. La giustificazione è sempre la stessa “il meridione incolto e mafioso non può ospitare strutture tecnologicamente avanzate perché non ha manodopera specializzata”. I nostri politici prezzolati e venduti ai politici del nord non si scandalizzano di questi soprusi, anzi sono i primi a giustificarli. Un esempio eclatante è la costruzione del ponte sullo stretto di Messina considerato inutile per il mezzogiorno perchè superfluo. Ogni tanto viene proposto da Berlusconi ma subito stoppato da tutti i politici del sud in prima battuta, uomini di grande ingegno che si accorgono del grande investimento non adatto al mezzogiorno poi dagli altri con la giustificazione che dobbiamo fare cose prioritarie e non vale la pena spendere soldi così importanti per un ponte quasi inutile. Così continuiamo ad aspettare i grossi investimenti, mentre i piccoli vengono scartati. Come il cane che si morde la coda, non facciamo le autostrade perché dispendiose ma nemmeno le strade necessarie perché inutili per il meridione incolto e arretrato. Così continuiamo a vivere da paese colonizzato senza nessuna pretesa di sviluppo. Per noi tutto è superfluo, chiaramente oltre il pane ritenuto necessario dai nostri benefattori.

(Giovanni Fasanella e Antonella Grippo 1861 la storia del risorgimento che non c’è sui libri di storia)

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