La discutibile futurologia politica di Davide Casaleggio

 
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Beppe Grillo e Davide Casaleggio

Leggendo l’importante articolo-manifesto di Davide Casaleggio apparso il 19 marzo scorso sul sito del “Washington Post” non ho potuto fare a meno di pensare a un piccolo gioiello della filosofia contemporanea, “On Bullshit” di Harry G. Frankfurt, pubblicato nel 2005 dalla Princeton University Press e subito edito in italiano da Rizzoli con il titolo “Stronzate. Un saggio filosofico”. In estrema sintesi, quello di Frankfurt era un tentativo insieme ironico e rigoroso di dare una definizione filosofica della “stronzata”, intesa come atto linguistico che mira a raggiungere un tornaconto personale (pubblicità, potere, bella figura, ecc.) attraverso espressioni che tradiscono una assoluta indifferenza nei confronti del valore di verità di quello che si asserisce sul mondo. In tal senso, la stronzata è eticamente peggiore della menzogna volontaria, perché il bugiardo, almeno, accetta l’idea che sia possibile avere credenze vere sulle cose (e infatti cerca di spacciare il falso come vero), mentre colui che dice stronzate – cioè contraffazioni non necessariamente false – è uno che semplicemente educa se stesso e gli altri all’idea che il valore di verità delle asserzioni descrittive sia una questione irrilevante, se non un’assurdità.
Cosa c’entra tutto ciò con uno dei top leader del Movimento 5 Stelle, nonché, come recita il cappello di accompagnamento del pezzo, presidente di quell’Associazione Rousseau da cui dipende la piattaforma digitale omonima che costituisce il “sistema operativo”, cioè il laboratorio di elaborazione politica, del Movimento stesso? Per rendersene conto, occorre innanzi tutto tenere ben separati i due piani principali di questo articolo in cui Casaleggio intende spiegare al mondo le ragioni della vittoria del Movimento alle elezioni politiche italiane del 4 marzo: il piano strettamente fattuale e quello, per così dire, squisitamente filosofico. Il primo, che si può considerare corretto per decreto metodologico (ben sapendo che qualche osservatore vi ha ravvisato delle falsità palesi: si veda per esempio il “Buongiorno” di Mattia Feltri su “La Stampa” del 21 marzo), qui non verrà esaminato, perché va riconosciuto a Casaleggio il diritto di vantarsi, illustrandone le modalità tecniche, di un’impresa politico-elettorale senza precedenti nella storia italiana (e non solo). È il secondo, invece, che merita attenzione, perché Casaleggio, da imprenditore, bocconiano, abile scacchista ed esperto di sistemi informatici, ovvero da giovane intellettuale tutt’altro che sprovveduto, arricchisce il testo con incursioni particolarmente superficiali nel campo della futurologia e della filosofia politica.
Si noti, per cominciare, che Casaleggio non cita né uno studio scientifico né uno studioso autorevole a sostegno del proprio ottimismo tecnologico relativo alle virtù democratiche della rete, limitandosi semplicemente a dare per scontato che l’accesso sempre più diffuso alla connessione a internet stia aprendo la strada alla vera democrazia (“real democracy”), cioè alla democrazia diretta (“direct democracy”). Ma quanto è fondato un tale ottimismo? Consideriamo per esempio due corposi volumi usciti di recente, la cui ambizione è quella di illustrare alcuni degli scenari futuri che lo sviluppo tecnologico-informatico apre per l’Homo Sapiens: “Superintelligenza. Tendenze, pericoli, strategie” del filosofo, fisico e neuroscienziato computazionale svedese Nick Bostrom (2014) e “Homo Deus. Breve storia del futuro” dello storico israeliano Yuval Noah Harari (2015), usciti in italiano rispettivamente nel 2018 e nel 2017. In entrambi i testi il trionfo tecnologico umano è celebrato ad ogni pagina e le opportunità per il miglioramento delle condizioni di vita di tutti sono sottolineate e descritte nel dettaglio; eppure agli autori non sfugge che tutte queste magnifiche sorti e progressive contengono in sé le premesse di esiti così catastrofici da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa della nostra specie. Per rendersene conto basta prendere l’esempio iperbolico, fantascientifico e quasi grottesco che fa Harari riferendosi proprio il libro di Bostrom: “Uno scenario considerato da molti prefigura che una multinazionale abbia progettato la prima superintelligenza artificiale e le sottoponga un innocente test, come il calcolo del Pi greco. Prima che chiunque possa realizzare quanto sta accadendo, l’intelligenza artificiale prende il controllo del pianeta, elimina la razza umana, lancia una campagna di conquista fino ai confini estremi della galassia e trasforma l’intero universo conosciuto in un gigantesco supercomputer che per miliardi e miliardi di anni calcolerà il Pi greco in modo sempre più accurato. Dopotutto, questa è la missione divina che il suo creatore gli ha assegnato”. Ma questo, si dirà, vale per il lungo periodo. E per il breve? Se si pensa al caso della società di consulenza Cambridge Analytica scoppiato in questi giorni, è facile comprendere che nemmeno sul breve periodo la situazione è così rosea.

La “visione” di Casaleggio non è solo ingenuamente ottimistica: essa è anche sostenuta da una retorica che nasconde un pensiero in ultima analisi vuoto. Si consideri per esempio un passaggio come il seguente: “the Five Star Movement is an unstoppable wind that will continue to grow because it is aligned to the future”. Passi la metafora roboante del vento inarrestabile, ma dire che il Movimento continuerà a crescere perché è allineato con il futuro è produrre “bullshit” allo stato puro, per il semplice fatto che chiunque parli del futuro in modo così vago sta semplicemente parlando di qualcosa che per definizione nessuno è in grado di rappresentarsi con esattezza (la parola “futuro”, come si ricorderà, era tra le più ricorrenti nella retorica renziana, e si è visto com’è andata a finire). In un altro punto Casaleggio, che ha già definito “moribund” i partiti tradizionali, si lancia in una profezia avventata che contrasta curiosamente con i problemi politici reali che il Movimento deve affrontare da qui ai prossimi anni: “direct democracy, made possible by the Internet, (…) will ultimately lead to the deconstruction of the current political and social organizations”. In attesa che gli attuali organismi politici e sociali vengano decostruiti dalla democrazia diretta a venire, i neoeletti del Movimento devono fare i conti con i vincoli solidissimi delle istituzioni rappresentative e proprio in questi giorni abbiamo assistito allo spettacolo della loro forza in occasione delle manovre che hanno condotto all’elezione dei presidenti delle due camere. Mentre Casaleggio prefigurava il tramonto della democrazia rappresentativa, i rappresentanti grillini nelle istituzioni democratiche “moribonde”, guidati dal leader e candidato premier Di Maio, dovevano risolvere dei veri e propri rompicapo per far quadrare i numeri nel gioco delle alleanze. Lo stesso Roberto Fico, appena eletto presidente della Camera dei Deputati, nel suo discorso di insediamento ha realisticamente insistito con forza sulla centralità del Parlamento, mostrando in maniera plastica la differenza tra la serietà delle istituzioni vigenti e le parole a vanvera del suo guru.
Si diceva sopra che Casaleggio non cita nel suo manifesto alcuna “auctoritas” di oggi. Viceversa, l’unico nome che fa, per gli ovvi motivi legati alla spiegazione del nome della piattaforma, è quello di Jean Jacques Rousseau (1712-1778), il noto filosofo e pedagogista dell’età dei Lumi. Ebbene, come descrive Casaleggio Rousseau agli americani? La formula che usa è particolarmente significativa, perché mette in luce un punto preciso della concezione politica del pensatore francese: “the 18th century philosopher who argued politics should reflect the general will of the people. And that is exactly what our platform does”. Casaleggio, dunque, asserisce che la sua piattaforma di formazione politica si prefigge il compito di dare realtà politica al concetto di “volontà generale”, che è al centro del “Contratto sociale” (1762), l’opera di filosofia politica più famosa di Rousseau. Ma qui egli tradisce una superficialità sconcertante, perché chiunque abbia anche solo una conoscenza scolastica della storia delle dottrine politiche sa che quella di “volontà generale” è tra le nozioni più inafferrabili e controverse, che solo con un atto intellettuale poco responsabile può essere maneggiata in modo così disinvolto. Anzi, se proprio volessimo basarci sulla fonte originale, dovremmo dire che Casaleggio, proprio in virtù del modo in cui sono organizzate le società liberali a economia capitalista di oggi, ha in mente la “volontà di tutti” (espressione di interessi privati), che nel terzo capitolo del secondo libro Rousseau distingue nettamente dalla “volontà generale” (volta al bene comune), la quale presuppone da un lato l’assenza di quelli che oggi chiameremmo lobby, partiti, compagnie e associazioni varie e dall’altro dei cittadini che, nel momento della deliberazione politica, non comunichino tra loro e siano in grado di pensare in maniera informata con la propria testa. Non solo, ma se Casaleggio potesse davvero raggiungere la chimera della volontà generale, questo porrebbe dei seri problemi all’idea di democrazia plurale che, pur con tutti i suoi difetti, pratichiamo oggi. La concezione russoiana, infatti, come notano da tempo diversi interpreti, è in odore di totalitarismo, perché la volontà generale è definita in termini oscuramente mistici e dogmatici. Il capitolo citato, addirittura, mira a spiegare perché essa non possa errare e sia di conseguenza sempre giusta e orientata all’utilità pubblica. Questo vuol dire che essa, qualunque cosa sia, è dotata di una inesorabile e infallibile forza etica e chiunque la contrasti è necessariamente fuori dall’ordine morale e civile. Cosa fare allora di eventuali dissidenti, o semplicemente di chi dovesse tradirla con le azioni? Rousseau, che su questo non si distingue da altri autori di manifesti politici ispirati e autoritari, non si tira indietro e trae le conseguenze estreme: verso la fine dell’ottavo capitolo della parte quarta (il penultimo dell’opera), parlando degli articoli di fede della religione civile necessaria al mantenimento della coesione sociale, egli non esita a prevedere il bando per chi non li volesse accettare e addirittura la morte per chi, pur avendoli accettati, dovesse essere sorpreso a vivere in contrasto con essi.
Cosa ha a che fare una teoria democratica così arcaica con la partecipazione politica “diretta” attraverso la rete internet? È questa una domanda alla quale gli ideologi del Movimento, ormai diventato il primo partito in Italia, dovrebbero dare al più presto una risposta.

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