Omicidio Sequino, pm impugnano le assoluzioni: ricorso in appello

 
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Sequino fu ucciso in pieno centro storico

Gela. Già a conclusione del dibattimento di primo grado, i pm della Dda di Caltanissetta avanzarono richiesta di condanna per i tre imputati, con l’indicazione dell’ergastolo. Nella vicenda dell’omicidio del tassista Domenico Sequino, ucciso nove anni fa nei pressi della chiesa Madre, saranno i giudici di secondo grado a pronunciarsi. Nicola Liardo, il figlio Giuseppe Liardo e Salvatore Raniolo, sono stati assolti, lo scorso luglio, e le misure nei loro confronti sono venute meno, a seguito di quanto deciso dalla Corte d’assise nissena. I pm hanno scelto di ricorrere in Corte d’assise d’appello. Ritengono che i tre imputati abbiano organizzato ed eseguito l’azione di morte. Sequino venne più volte colpito, alle spalle, da spari ravvicinati. Un agguato plateale che non gli lasciò scampo. In due agirono, con volto coperto, nonostante quella sera ci fossero centinaia di avventori in centro storico, quasi nell’imminenza delle festività natalizie. Uno era alla guida dello scooter, usato per raggiungere la zona (non è mai stato identificato). L’altro, invece, sparò. Per l’accusa, il killer sarebbe stato Raniolo, dopo aver concordato modalità e tempi con i due Liardo. Il ricorso è assai ampio e articolato. Sarà valutato dai giudici di appello. La decisione in assise arrivò al culmine di ulteriori approfondimenti, anzitutto tecnici. Il contenuto delle conversazioni intercettate nei colloqui in carcere tra Nicola Liardo e i familiari convinse gli inquirenti che dietro all’omicidio ci fossero gli imputati.

La Corte autorizzò accertamenti, con periti chiamati ad analizzare il contenuto delle captazioni, anche su richiesta delle difese (che si sono avvalse del perito fonico forense Gabriele Pitzianti). Nel corso dell’istruttoria, a conclusione delle attività tecniche, è stato escluso che ci fossero richiami all’omicidio del tassista. Tutti gli imputati hanno sempre negato di aver avuto qualsiasi ruolo nell’azione di morte. Non avrebbero avuto motivi di astio verso la vittima. Secondo gli inquirenti, invece, sarebbe stato Nicola Liardo, dal carcere, a definire i particolari dell’azione, con il sostegno poi del figlio e di Raniolo. L’accusa ha più volte fatto richiamo ad una somma di denaro che Liardo pretendeva da Sequino, dopo avergliela affidata per un presunto investimento non concretizzatosi. Elementi riportati negli atti dell’inchiesta “Tagli pregiati”. Una ricostruzione contestata dalle difese, sostenute dai legali Giacomo Ventura, Davide Limoncello, Flavio Sinatra e Antonio Gagliano, rifacendosi ai riscontri tecnici e alla mancanza di riferimenti diretti per collegare gli imputati all’agguato. La famiglia Sequino, assistita dall’avvocato Salvo Macrì, ha seguito il procedimento in ogni sua fase, costituendosi parte civile nel giudizio. Il legale aveva concluso per la condanna degli imputati, così come indicato anche dai pm, richiamando elementi ritenuti di assoluta evidenza.

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