Processo Rugolo, in difesa del prete pure la foto di Baudo e Benigni

 
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Enna. Al Tribunale di Enna si è celebrata ieri l’ennesima lunga udienza dedicata agli avvocati dei responsabili civili e ai legali dell’imputato, all’interno del processo a Giuseppe Rugolo, il sacerdote di Enna accusato di violenza sessuale su minori.  

Nella seduta che è iniziata poco dopo mezzogiorno e si è conclusa a tarda sera, Gabriele Cantaro, il legale del vescovo di Piazza Armerina, monsignor Rosario Gisana, ha parlato esplicitamente di “processo mediatico”, mentre per l’avvocato della parrocchia di San Giovanni, Mauro Lombardo, la modalità di rapportarsi ai giovani di Rugolo, che per salutare toccava le parti intime, sarebbe ormai stata sdoganata.

Il legale poi, ha scelto un modo singolare per suffragare la sua tesi, esibendo in aula di fronte al giudice la celeberrima foto che ritrae il comico Roberto Benigni nell’atto di toccare le parti intime dell’allora presentatore del Festival Pippo Baudo.

Un cambiamento dei costumi che viene sottolineato anche dall’avvocato Antonino Lizio che insieme al collega Dennis Lovison chiede l’assoluzione di Rugolo perché sarebbe grave rovinare la vita ad un sacerdote per un «non reato». In aula è proprio Lovison a svelare che il primo consulente psichiatra di Rugolo sarebbe indagato e gli sarebbe stata sequestrata la cartella clinica.

Secondo la tesi difensiva dunque, non vi sarebbe stata alcuna violenza ai danni della presunta vittima, inoltre, l’avvocato Gabriele Cantaro, legale della Curia di Piazza Armerina, citata dalle parti civili per il risarcimento del danno, nella sua arringa ha spiegato che, sulla scorta degli elementi prodotti dagli inquirenti, tra cui conversazioni in chat tra l’imputato e la presunta vittima, non emergerebbero segnali comprovanti le violenze.

Lo stesso difensore ha anche affermato che, nel corso del dibattimento, sarebbe caduta la tesi legata alla presunta proposta di pagamento da parte della Curia alla famiglia della vittima per “comprare” il silenzio della vittima, perché, se davvero fosse emerso questo episodio, “monsignor Gisana sarebbe stato incriminato per favoreggiamento”.

Il legale ha anche affermato che la citazione della Curia, come responsabile civile, sarebbe “inammissibile poiché non si tratta di un soggetto giuridico ma di un organo di supporto all’attività del vescovo”.

Nel frattempo, lo scorso 10 gennaio la pm Stefania Leonte aveva concluso la sua requisitoria con la richiesta di condanna a 10 anni di reclusione. La rappresentante della pubblica accusa ha chiesto anche le pene accessorie.

La sostituta procuratrice Leonte ha ricostruito gli elementi che portarono all’incriminazione del sacerdote, le prove e i riscontri degli inquirenti.

La sentenza è attesa per il prossimo 5 marzo.

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