Unità d’Italia e trasformismo, Liborio Romano: ai camorristi posti di responsabilità

 
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Gela. Uno dei più grandi uomini trasformisti del tempo fu sicuramente Liborio Romano, scelto da Cavour a cui affida il Regno provvisorio delle Due Sicilie nel 1860, pur essendo Ministro in carica del governo Borbonico ma segretamente acquistato da Cavour.

Un uomo che in pochi mesi riesce ad andare al governo per ben tre volte con regimi diversi. Fu amministratore costituzionale di Francesco II, del dittatore Garibaldi e successivamente luogotenente generale dei Piemontesi. Il grande statista Cavour l’aveva scelto per affidargli il governo provvisorio del Regno di Napoli. Questi erano i collaboratori del magnifico statista Cavour, giocatore d’azzardo, che non poteva circondarsi che di figure come Liborio Romano, trasformisti e disonesti uomini di governo. Tutto ciò perché Vittorio Emanuele II e Cavour avevano deciso di togliersi dai piedi Giuseppe Garibaldi che, dopo la conquista di Palermo, aveva esaurito il suo compito. Così, il vecchio mondo tradizionale spariva completamente, dopo che i generali Borbonici cambiarono casacca come: Lanza, Nunziante, Clary, Pianell, Gallotti, Caldarelli, Ghio, Pineto, Lo Cascio. Tutti questi vennero meno al giuramento di fedeltà a Francesco II, chi per fare carriera, chi per soldi, pochi per conversione al nuovo ideale. Il più pericoloso si dimostrò il conte di Aquila. Luigi di Borbone, fratello di Ferdinando II e zio di “Franceschiello” che favorì la defezione della flotta navale di Francesco II che si fidava delle promesse di Napoleone III. L’imperatore sperava, da un lato, di mettere al trono di Napoli Napolèon Lùcien Murat e, dall’altro, di sostenere la causa annessionistica dei Piemontesi. Altro parente di cui Francesco II non si fidava, era suo zio Leopoldo di Borbone, conte di Siracusa, detto “Don Popò” liberale che frequentava l’ambasciatore piemontese Villamarina ed aveva fornito a Garibaldi le mappe della Sicilia e di Napoli. Il re Francesco II, per salvare il suo regno e la sua stessa persona, nominò il suo nemico Liborio Romano, prefetto di polizia nel governo presieduto da Antonio Spinelli.

Per riparare ai danni commessi a Napoli, dove i commissariati di polizia furono dati alle fiamme e si registravano scontri tra liberali e reazionari e per evitare che venisse scoperto nei suoi loschi affari, decise di coinvolgere la camorra inserendola nei posti di responsabilità. Per trovare sicurezza e tranquillità. pronto a cambiare casacca, qualora se ne presentasse l’occasione pronto a saltare sul carro del vincitore. In effetti i mafiosi avevano aiutato Garibaldi a conquistare la Sicilia, così la camorra poteva aiutare Liborio Romano a conquistare Napoli. Fu così che il ministro dell’interno Borbonico, trasformò i camorristi in poliziotti. e costituì la sua guardia del corpo e con i camorristi più importanti, formando la Guardia Cittadina inserendo nuovi camorristi come Salvatore De Crescenzo detto “Tore e Criscenzu” e, una  volta certo dell’accettazione della carica, chiamò gli altri esponenti della camorra, quale Felice Mele, Luigi Cozzolino detto “o Perzianaro” Michele detto “’o Chiazziere “ e ancora “ o schiavetto” e “Mastro tredici”, tutta gente rispettabile  con una divisa e una coccarda tricolore sul cappello .Così il capo della camorra divenne il capo della polizia con immenso vanto di Liborio Romano che lo scrisse nel suo libro di Memorie. Oggi i benpensanti uomini di cultura, si chiedono perché la malavita ancora esiste nel meridione? Si tratta di gente prezzolata che non vede al di là del proprio naso e scrive solo perché allora i piemontesi hanno detto che il sud è abitato solo dai briganti e basta. Questa è l’Italia che l’unificazione ha voluto fare conoscere a noi miseri eredi della colonizzazione selvaggia operata dagli uomini del risorgimento italiano nel 1860 e dai piemontesi in particolare. Al sud vengono insediati in tutte le città più importanti gli uomini della malavita organizzata protetti e sostenuti dallo stato di allora e di oggi e i componenti dello stato si lamentano per capire se la malavita ha ancora legami con i politici di ieri e di oggi. Come possono sparire questi legami se il nord produttivo controlla economicamente tutto il sud arretrato? I legami continuano ad essere sempre più stretti tra la malavita e il nord produttivo? Così il direttore Vittorio Feltri, figlio di nobili discendenti può continuare a dire che i meridionali sono inferiori dei nordisti. Possibile che questo uomo di cultura, baciato dalla fortuna della famiglia Berlusconiana. abbia completamente dimenticato le sue umili origini di vaccaro? Questo bergamasco denigratore inutile, forse non sa che nel 1860 le città più popolate in Italia erano Napoli, Palermo e Messina e non Torino, Milano e Genova e c’era un motivo molto chiaro ad un uomo venduto e prezzolato come lui, che grazie ai plebisciti fasulli avete potuto colonizzare il mezzogiorno d’Italia, rubando, uccidendo tutta la cultura occidentale del popolo duo Siciliano. Cancellando così 126 anni di storia dei regnanti Borbonici. All’unanimità gli storici prezzolati e venduti ai Piemontesi, si sono inventati il latifondo meridionale che non permetteva lo sviluppo dell’agricoltura duo siciliana, mentre al nord ancora sotto la dominazione Austriaca erano gli stati più progrediti d’Europa, vedi Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte con il grande regno Sabaudo dei Savoia che vantavano la più vasta emigrazione degli stati Italiani di allora. Dopo il 1860 tutto cambia, senza che i benefattori nordisti, abbiano rubato niente al popolo del sud, ma sono loro per incapacità e ignoranza a chiudere le proprie attività produttive, a piangersi addosso e sperare nella elemosina del nord che poveracci, in questi ultimi 200 anni. hanno sudato sette camicie per mantenere il sud nella miseria più assoluta in cui si trova.

1 commento

  1. Alfredo Todisco, giornalista e calabrese, che conosceva perfettamente storia e grammatica italiane, scrisse anni fa: «Questo “neo-borbonismo” ha qualcosa di rozzo, incolto, e alligna in mezzo a gente che non sa nulla del passato, ignora persino la successione dei re di Napoli, e che solo “per sentito dire” e per esercitazione fantastica, favoleggia la superiorità del regime borbonico su quello unitario: e del “mito” dell’ex capitale che, prima del nefasto ’60, sarebbe stata “un paradiso”, perduto per colpa dei piemontesi, che la immaginazione degli ignoranti circonda di un favoloso alone di felicità prosperità e benessere».

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