“Extra fines”, testimoni in aula nel giudizio di appello: condanne in primo grado

 
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Gela. Sarà necessario un supplemento di verifica, da parte di un perito fonico, sul contenuto di intercettazioni che riguardano la posizione di uno degli imputati, Giuseppe Rosciglione. Inoltre, davanti ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta, oggi è stato sentito un poliziotto, che si occupò di alcuni aspetti, poi confluiti nella maxi indagine antimafia “Extra fines”. Il testimone, rispondendo alle domande della difesa di Luigi Rinzivillo, rappresentata dall’avvocato Giacomo Ventura, è ritornato sulla sala scommesse, che secondo gli inquirenti sarebbe servita anche per alcuni incontri organizzati dal boss sessantenne Salvatore Rinzivillo, imputato per questi fatti in un altro filone processuale. Le difese di tutti i coinvolti nel giudizio, scaturito dall’inchiesta “Extra fines” condotta dai magistrati dell’antimafia di Caltanissetta e da quelli di Roma, hanno presentato ricorsi a seguito delle condanne di primo grado. In aula, per sentire investigatori indicati dalla procura generale, si tornerà la prossima settimana.

Le condanne, in primo grado, sono state pronunciate per i fratelli ergastolani Antonio Rinzivillo (venti anni di detenzione per i fatti successivi al 2008) e Crocifisso Rinzivillo (trenta anni di reclusione in continuazione con precedenti verdetti). Sarebbero stati loro, seppur detenuti in carcere ormai da anni e sotto regime di 41 bis, a dare il comando della famiglia di Cosa nostra all’altro fratello, Salvatore. Si sarebbe mosso tra Roma, Gela e la Germania, con contatti frequenti fuori dall’Italia. Intorno a lui, avrebbero gravitato sodali, finiti nell’inchiesta e nel giudizio. Dodici anni sono stati imposti a Rosario Cattuto, già condannato per il troncone “Druso” (ai giudici di appello il difensore Riccardo Balsamo ha chiesto di sentire un testimone che considera importante per fare chiarezza sulla posizione dell’imputato). In primo grado, il collegio ha disposto la condanna anche per Carmelo Giannone e Angelo Giannone, padre e figlio impegnati nel commercio ittico. In base alle indagini, avrebbero sfruttato la vicinanza di Salvatore Rinzivillo non solo per allargare l’attività in altre province ma anche per riscuotere crediti o pretendere condizioni di favore. Gli inquirenti accertarono che uno dei loro capannoni venne messo a disposizione per una riunione tra esponenti dei clan. Carmelo Giannone è stato condannato a dodici anni di detenzione; Angelo Giannone a sette anni e nove mesi. Ad entrambi sono stati imposti altri quattro mesi, per una delle contestazioni definite con il rito abbreviato, che ha determinato invece l’assoluzione per accuse legate al possesso di armi. Dieci anni e otto mesi sono stati pronunciati per Alfredo Santangelo, imprenditore etneo che avrebbe fatto da tramite economico per i Rinzivillo. Otto anni per Antonio Maranto e sei anni a Giuseppe Rosciglione, che avrebbero dato la loro disponibilità per le messe a posto di operatori del settore ittico, in province dove gli affari dei Rinzivillo, secondo gli inquirenti, si stavano sviluppando. Sei anni e otto mesi sono stati imposti a Francesco Maiale, altro operatore del settore ittico che si sarebbe messo a disposizione. Sette anni di reclusione sono stati decisi per Luigi Rinzivillo, legato a Salvatore Rinzivillo da rapporti di parentela. L’attenzione degli investigatori si concentrò sulla sua sala scommesse, in base alle indagini usata anche per riunioni decise da Salvatore Rinzivillo. Sei anni e otto mesi sono stati pronunciati per Umberto Bongiorno, che attraverso Rinzivillo avrebbe tentato di concretizzare investimenti commerciali nella zona di Roma. Sei anni e otto mesi anche per Vincenzo Mulè, ritenuto molto vicino a Rinzivillo, anche rispetto all’intenzione di riallacciare rapporti negli Stati Uniti. Per le posizioni dei fratelli Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo, ma anche per quelle di Luigi Rinzivillo, Umberto Bongiorno, Rosario Cattuto, Angelo Giannone e Carmelo Giannone, sono state pronunciate assoluzioni, ma solo per alcune delle accuse che venivano mosse. I pm hanno invece impugnato l’assoluzione che il collegio penale del tribunale, in primo grado, ha emesso nei confronti dell’imprenditore Emanuele Catania. L’impugnazione è stata decisa per un altro imputato, assolto in primo grado, Giuseppe Licata (difeso dall’avvocato Flavio Sinatra). Il giudizio di appello si è aperto anche per lui, che è titolare di aziende nel settore dell’autotrasporto e dei mezzi da lavoro.

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