I supermercati in crisi e i soldi a Fabio Fasulo: “Li doveva risanare ma pagava le rate della Bmw X5”

 
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Gela. “Gli assegni consegnati dall’imprenditore a Fasulo dovevano servire al risanamento dell’azienda ma accertammo che quei soldi furono utilizzati anche per pagare le rate di una Bmw X5”.

La denuncia del titolare di diversi supermercati. A deporre davanti al collegio penale del tribunale presieduto dal giudice Manuela Matta, affiancata dalle colleghe Ersilia Guzzetta e Silvia Passanisi, è stato uno dei militari della guardia di finanza che si occupò di seguire tutti gli sviluppi dell’inchiesta “Spin off”. A giudizio, oltre all’imprenditore Fabio Fasulo, ritenuto la mente di un sistema organizzato per fagocitare aziende in difficoltà, sono finiti la sua segretaria Virginie Bongiorno, Roberto Li Calzi, Pietro Caruso e Cristian Ciubotaru. “Tutto iniziò – ha spiegato il finanziere – dalla denuncia presentata dal titolare di due società impegnate nella gestione di diversi supermercati in città. Si era rivolto a Fabio Fasulo per cercare di risanare le sue aziende. Proprio Fasulo indicò un rosso da quasi 900 mila euro. In realtà, accertammo che i debiti delle aziende non superavano i 250 mila euro. La gran parte dei pagamenti era già stata rateizzata. Fasulo comunicò all’imprenditore l’esigenza di “oliare”, con almeno 70 mila euro, un funzionario dell’Agenzia delle entrate. Infine, gli consigliò di emettere false fatture attraverso una delle sue società, la Chemical Control. Era tutto un sistema per estromettere la vittima e assorbire le aziende. Intanto, con i soldi versati dall’imprenditore venivano pagati i lavori di ristrutturazione della villa di Manfria della famiglia Fasulo”.

“Riusciva a falsificare le attestazioni dell’Agenzia delle entrate”. Un meccanismo, in base alle indagini, esteso ad altre aziende in difficoltà finite nel mirino dell’imprenditore Fabio Fasulo. La lunga deposizione del militare è servita alle difese per acquisire nuovi elementi. Gli avvocati Giovanni Lomonaco, Giusy Ialazzo, Flavio Sinatra, Raffaela Nastasi e Maurizio Scicolone, fin dalla fase delle indagini, hanno cercato di ridimensionare la posizione dei loro assistiti. Molti dei quali sarebbero stati solo semplici prestanome utilizzati da Fabio Fasulo che, secondo il teste, “era in grado di produrre anche false attestazioni dell’Agenzia delle entrate”. 

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